mercoledì 15 febbraio 2012

Di fisica, colori e unicorni

Continuando la sperimentazione di cose nuove su queste pagine (dopo il notevole successo di questo, che però è stato riproposto in altri siti, un po' come barare) proverò, con la sciatta spensieratezza che richiedono delle pagine virtuali e l'entusiasmo di uno che comincia a rovinarsi le unghie provando a scalfire la superficie di una teoria, a parlare un po' di quello che faccio nella vita vera. Beh, per lo meno quello che vorrei fare nella vita vera. Appena parte The Piper at the Gates of Dawn dei Pink Floyd son pure pronto a smetterla di indugiare con l'introduzione (che però se mettete su il cd mentre leggete, leggete meglio).

Cosa provo a fare nella vita vera? Per quanto mi faccia ancora strano dirlo, ché son ancora studente (per altro affatto brillante), provo ad essere un fisico teorico. Dunque quel genere di fisico che indaga le leggi fondamentali della natura, analizzandone i risvolti teorici, matematici, fenomelogici. In particolare, dato che mica si può studiare tutta la fisica teorica in 5 anni, gli edifici rossi squadrati che mi accolgono si preoccupano di approfondire la fisica delle alte energie, andando ad indagare perché la materia, le particelle fondamentali, sono come sono e cosa comporta questo loro modo di essere e di manifestarsi. Il perché si parli di alte energie risiede nel fatto che spesso per vedere alcune di queste particelle bisogna barbaramente spaccare tutto e dunque serve molta energia per farlo. Si, i particellari sono dei punk anarchici.

Non è tuttavia mia intenzione parlarvi di quello che studio, credo che le milioni di pagine scritte da chi è ben più esperto lo facciano già abbastanza, quello che voglio provare a comunicare è la spinta di astrazione, di immaginazione, la visionaria modellizzazione con cui devo, ma come me tutti i tipi di fisici, confrontarmi quotidianamente. Anche quando non studio, il che probabilmente è motivo concorrente di frequenti alienazioni, sguardi persi nel vuoto, mutismo, protocolli sociali calpestati. Con scarpe già sporche di maleducate feci animali. Insomma, io che di poesia non ne capisco nulla e, non pago, non mi faccio granché capire quando ne parlo, vorrei far capire la poesia che c'è dietro, alla fisica dico.

Ossessione chimerica nel mio studio è la ricerca della simmetria e delle implicazioni che ha sulla teoria la simmetria stessa. Una ricerca di eleganza, che diventa formale nel momento in cui si prova a comunicarla con il linguaggio base della fisica, la matematica. Una matematica che a sua volta, da strumento, linguaggio, diventa alle volte manovratore della gigantesca gru che posiziona i mattoncini della realtà. Dunque va a suggerire nuovi mattoni, vietare pareti. Per lo meno finché la casa non crolla, percossa da una natura particolarmente dispettosa, tiranna come è giusto che sia. Un crollo che non lascia mai il vuoto, un cumulo di macerie inutilizzabili, al punto che, alle volte, da vita ad una casa più grossa. La simmetria la si cerca sempre più grossa, più generale, così che contenga quanto già si è descritto e riesca a dirci qualcosa di nuovo, mettendolo in luce (che a nessuno serve una nuova enciclopedia se non è successa una favazza dacché si è comprata la precedente).

Si cerca sempre di rimanere quanto più possibile semplici ed eleganti nelle descrizioni, un po' perché l'eleganza non passa mai di moda e, si sa, i fisici sono attenti a queste cose, un po' perché pare che sia così che si manifesta la natura, semplice ed elegante (al netto del discorso circolare sul fatto che è così che matematicamente andiamo a scriverla noi). E si cavalca l'ispirazione, frutto di duro lavoro, di menti brillanti che, con un procedimento che va ben oltre lo slancio artistico (l'artista non ha un capo stronzo quanto la natura), vanno a descrivere cose nuove, arricchiscono il loro campo di lavoro, il sapere comune. Una spinta che parte dalla spropositata curiosità di indagare il perché delle cose, dalla insaziabile fame di profondità nelle spiegazioni che si trovano. Andando così ad amplificare la bellezza di partire da domande semplici (basti pensare che buona parte della fisica del 900, il secolo mirabilis della fisica, è nata sostanzialmente per dare una risposta alla domanda: perché se scaldo un pezzo di ferro si illumina?) dando risposte semplici, non banali, ma semplici. Una bellezza che fluisce impetuosa in ogni gesto, in ogni pagina piena di bestemmie per gli errori ed i vicoli ciechi incontrati, in ogni indumento sporco di gesso e sudore, in ogni plico di fogli consumati.

Si giunge poi alle descrizioni visionarie della fisica moderna, in cui siamo tutti un'unica vibrazione in uno spazio ben più esteso di quello che vediamo, con direzioni che nemmanco Syd Barrett poteva immaginarsi, con dimensioni che si arrotolano su loro stesse, si nascondono. Distinguiamo la materia dall'energia in base a come quest'unica vibrazione si manifesta, una materia che va ad incurvare lo spazio stesso, manifestandosi in particelle che per stare insieme si scambiano dei colori, che per avere massa si mangiano l'un l'altra in spazi e tempi lontani dall'immaginabile (motivo di numerose madonne che provengono da quel grosso anello interrato sotto Ginevra), che si trasformano in qualcos'altro scambiandosi altre particelle da loro stesse prodotte, in procedimenti di una violenza inadatta alla prima serata televisa. Si, siamo hippies.

Ma la poesia di tutto ciò non è in quanto fantasiosa possa essere la descrizione, altrimenti basterebbe ridurre tutto a degli unicorni che surfano su un lago di fuoco sferico-ma-non-troppo, cavalcati da gnomi arceri, in una goccia di rugiada che piega il filo d'erba dell'amore. La poesia sta in quanto questo sia fedele a quello che si vede, in quanti nuovi vortici apre, in quel lago di fuoco sferico-ma-non-troppo dico, e in quanto ogni nuovo vortice, anche quelli che hanno un fondo, contribuisca a un passo avanti dell'umanità tutta (metà delle cose che ho sciattamente citato è il motivo per cui riuscite a leggere queste righe).

Insomma, è per questo che è molto miope chi afferma che lo scienziato è troppo razionale e quindi poco fantasioso ed è questo il motivo per cui è molto da stupidi sfigati vantarsi di non capirci una favazza, di scienza. Tutto per dire che vantarsi di non avere mai capito, chessò, matematica a scuola rende questa società triste, arida e stronza. Dando tra l'altro un'evidente spiegazione alla vena autodistruttiva dell'uomo.

1 commento:

  1. Anche a me ha sempre dato fastidio chi si vanta di non capire la matematica. Io quando non capisco un conto mi sento stupido, non mi viene certo voglia di gridarlo agli amici!
    Detto ciò, hai ridato un po' di colore alla cara e vecchia scienza. Ti interesserà sapere che c'era un professore di non-so-cosa che si divertiva a scrivere graffiti qua e là contro la scienza che avrebbe, a parer suo, inaridito l'animo ed estirpato le emozioni umane. "Dice cazzate"? Sì, anche perché scienza e tecnologia hanno reso il mondo odierno un luogo fantastico per chi visse gli anni pionieristici del primo novecento. Ti lascio con H.G. Wells: "for I, for my own part, cannot think that these latter days of weak experiment, fragmentary theory, and mutual discord are indeed man's culminating time"
    (E questa, brav'uomo, torna utile per una tesi!)

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