domenica 30 maggio 2010

Ricordo, stragi di mafia, vecchie canzoni e libri di storia

Una volta ero alle elementari, in quel caldo pomeriggio d'ottobre noi si era in giardino a fare quello che la società impone di fare a degli ottenni o poco più: partita di calcio. La ricreazione si doveva svolgere sempre così: 4 giacche per terra a delimitare una porta dai pali spropositamente larghi che ribattevano il pallone sempre nello stesso modo, sfidando ogni legge sulla conservazione del momento. Me li ricordo bene, quegli intervalli post pranzo che ti procuravano quelle strisciate d'erba in corrispondenza delle ginocchia sui jeans, che ogni tanto ti procuravano qualche livido, qualche labbro gonfio per una parola detta fuori posto.
E mi ricordo anche che una volta la maestra Concetta, perché è così che si chiamava quella che ci insegnava a leggere e scrivere ma non a far di conto, ci stava richiamando segnalando l'inesorabile fine del ludico momento e ricordo anche che cominciai a correre, in direzione della porta. Non era una decisione tattica delle più ardite per uno che era scarso quindi faceva il difensore, bensì la porta, con le sue due giacche, era tra me e l'ingresso della scuola dai tratti archittettonici così marcatamente fascisti.

Strano come qualche ricordo sia estremamente nitido, per me che poi non dimentico nulla. Per esempio mi ricordo quella notte del 27 luglio 1993, o meglio mi ricordo la mattina seguente quando mia nonna, perché era a casa sua che mi trovavo, mi disse: "è scoppiata una bomba vicino a casa tua". Una bomba che uccise tre vigili del fuoco, la cui caserma era proprio lì vicino, accanto alla mia scuola materna. Tre vigili del fuoco che una volta mi fecero salire su uno dei loro mezzi, mi mostrarono come il loro pastore tedesco riuscisse con facilità ad aprire il portone della caserma. Anche quel cane era sul posto quella notte, così mi dissero poi degli altri vigili, ma lui si salvò. Insieme a loro morirono anche un vigile urbano, anche lui giunto sul posto, e un, cito il tg5 della sera successiva, "vagabondo, un immigrato irregolare" che dormiva su una panchina.

Mi ricordo che quel caldo pomeriggio d'ottobre mi dirigevo di corsa verso l'ingresso della scuola dai tratti archittettonici così marcatamente fascisti e vidi a terra il cappotto blu del mio compagno di classe Antonio, promosso a palo destro della porta, il cappotto, non il mio compagno Antonio, anche perché era decisamente troppo robusto per essere un palo.

Ricordo anche che in quella calda estate del '93 ci furono altre bombe, me le ricordo bene, oltre a quella vicino a casa mia, che ora viene ricordata come la strage di via Palestro. Mi ricordo che la parola mafia usciva spesso, molto più spesso di quanto non si fosse fatto nei mesi precedenti, essì che l'eco delle esplosioni in cui son morti quei due giudici si sarebbe dovuto ancora sentire. Come se lontano dalle stragi la memoria della gente si intorpidisse. E si intorpidiva in fretta perché pochi mesi prima avevano provato ad uccidere Maurizio Costanzo, credo perché reo di aver invitato Rita Dalla Chiesa, figlia di una delle figure antimafia più rilevanti della mai studiata storia Italiana.

Mentre correvo verso quel cappotto lungo, di quelli che per un certo periodo della mia vita mi son rifiutato di mettere, prima di pensare che con un cappotto lungo, se mi mettevo a correre, avrei dato l'impressione a tutti di avere un mantello. Oppure di essere un investigatore di quei film anni 80/90, in cui poi alla lunga si metteva a piovere, enfatizzando in maniera marcata il suo abbandonare la donna che l'amava per dedicarsi al rischio del lavoro, da vero uomo vissuto mezzo secolo fa. E ricordo che pensai, per 5 metri buoni, lo salto o lo calpesto?

Ricordo che ai tempi i giornali, alcuni giornali, si interrogarono, molto brevemente, giusto il tempo di far dimenticare la cosa alla gente, se fosse davvero solo opera di Cosa Nostra, che solo qualche anno dopo capii essere solo un altro modo di dire mafia. Strano come frasi pensate 16/17 anni fa siano ancora in qualche modo attuali. E' strano anche che saranno 10 anni che vado a concerti in cui in un certo momento chi è sul palco dice "questa canzone è stata scritta N (con N intero positivo maggiore di 10, spesso tendente al 20, a volte al 40) anni fa e sembra scritta l'altro ieri". E' strano perché c'è sempre qualcuno che si stupisce di come, facendogli pensare un po' alle cose, qualche ricordo affiori dall'intorpidimento. E' anche strano che nessuno abbia ancora scritto una canzone su come, in 10 anni, le canzoni scritte 40 anni fa (che adesso sono 50) siano ancora attuali.

Antonio non mi aveva mai fatto nulla di male e in fin dei conti andavamo d'accordo, una rarità per il mio periodo elementare. Questo suppongo non stupisca nessuno che mi conosca da più di 10 minuti, se son così, diciamo, particolare ora, figuratevi in tenera età. Diciamo che nel piccolo inferno dei primi anni di istruzione, in cui cerchi di non prendere troppe botte (sapendo perfettamente che non verrà youtube a salvarti) quelli molto più grossi di te che non ti picchiano sono qualcosa di molto prezioso.

Non mi ha mai stupito molto come le canzoni e le notizie, ciclicamente, si assomiglino tra loro. In Italia, in quell'Italia che non si vede mai sui libri di scuola perché è molto più istruttivo farti studiare come delle scimmie si lanciassero la cacca vicendevolmente tra un graffito e l'altro, oppure quei 1000 anni di sostanziale nulla chiamato medioevo, non gli avvenimenti storici eh, ma ricordo capitoli interi dedicati a come seminassero nel feudo. Riprendendo le redini di quella incidentale durata troppo per proseguire la frase precedente, dicevo, è molto più istruttivo, evidentemente, sapere quelle robe lì, piuttosto che un qualunque evento avvenuto dopo il 1945. Quindi dicevo, in italia, in quell'italia che non studi mai, le cose non cambiano, mai, al più si vestono diversamente, fino a che non si dimenticano, fino a che non si ripresentano di nuovo.

Alle elementari son sempre stato buono con tutti, più per convenienza che per sincera bontà, tranne che col bullo della scuola, che una volta voleva picchiarmi e non chinai il capo. Questa cosa lo colpì positivamente, da quella volta prese le mie difese e non mi picchiò più. Per lo meno non in faccia. Mentre correvo verso il cappotto di Antonio, a un solo passo dallo stesso, cambiai idea. E lo calpestai, tutti videro che l'avevo fatto, anche Antonio. Era un gesto così, di gratuita offesa, che mi porto dentro come una piccola cicatrice, di cui ancora so dispiacermi.

C'è un mafioso pentito, un procuratore generale antimafia e un ex presidente del Consiglio ed ex presidente della Repubblica che sostengono che le tragi etichettate come mafiose di quegl'anni erano probabilmente un tentativo di golpe. Alcune accuse portano all'attuale presidente del Consiglio e ad alcuni suoi stretti collaboratori. Due soli giornali, ad oggi, hanno messo in evidenza la cosa.

Certe cose puoi dimenticarle, ma la puzza di marcio prima o poi si fa sentire, sta a noi non dimenticarle di nuovo.

Del cappotto di Antonio io non mi scorderò, è qualcosa che mi porto, come monito, sempre dietro.

Scusa Antonio, il tuo cognome non lo ricordo, ma io non mi scordo mai nulla.

Un abbraccio metaforico a Carlo, Sergio e Stefano, per quanto non riesca più ad associare i vostri nomi a vostri volti ricordo bene come siete sempre stati gentilissimi con i bambini della scuola materna che stava tra la vostra caserma e via Palestro.

2 commenti:

  1. Grazie del commento e benvenuto, questa sera mi leggo il tuo primo blog, che sembra molto interessante.Buon Pomeriggio,Florian

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  2. il nostro purtroppo è un paese senza memoria...bel post!

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