domenica 29 dicembre 2013

Notturno - Milano

Una notte ricevetti un link, dentro c'erano pensieri, telai e catene di biciclette come sonagli. Non ho così buona memoria di quanto contenesse, ricordo sensazioni, ricordo che era sempre estate.

Milano è il giallo del sodio che si riflette nelle pozzanghere, sempre quello che ritrovi ovunque ma che in fondo sai essere autentico solo lì. È una pizza alta, di quelle che ti portavi a casa nel cartone fumante, tra lo sferragliare del tram e il rumore continuo delle auto sul pavé, una grande piazza disseminata di case. Rimane quel grande paesotto dove in fondo si conoscono tutti, dove scendi al bar per berti una birra, un the, scambiare le due chiacchere stanche di chi si gode la città deserta, assuefatta dal cibo natalizio e dalle case in montagna.

Ti appare all'improvviso, tetro, imponente, San Vittore. Per la prima volta lo vedo libero dall'arte di strada, triste più che mai, silenzioso nel suo contenere più respiri di quanti si potrebbe permettere, più storie di quante vorrebbe contenere. Da qualche parte qui intorno ci dovrebbe essere l'edicola, o almeno lo spiazzo che la conteneva, da dove tornavi con le dita sporche di piombo, infreddolito dalla vita in su perché la stufetta elettrica era un toccasana solo parziale. Quella via mi sta urlando contro la vita lontana, di quando contavo le parole, di quando il mondo ti passava davanti per un pomeriggio, una giornata intera, al ritmo sincopato di quotidiani distribuiti col sorriso e delle prime nuvole del denso fumo di Marlboro rosse.

Le biciclette ispirate da quella piazza, da quella via. Ci sono dentro, veramente. Ho le scarpe bagnate, perché qua piove poco, ma è come piovesse tre volte in una. Ho un treno da prendere e corro via, sapendo che in fondo Milano, che casa mia non lo è più da un po', sempre così mi aspetterà, al di là delle piazze scintillanti ed artefatte che son spuntate come infestanti funghi dove esistevano parchi e siringhe.

L'Essere e Benessere è la nuova versione ben vestita delle botteghe dei cinesi.

In realtà la memoria è ancora agile. O così credevamo.

domenica 15 dicembre 2013

Notturno - Genova

La luce entra di sbieco sul tavolo, intorno a me c'è il sonno pesante, davanti la strada sopraelevata e le sue luci al sodio che fanno così tanto casa. Il porto addormentato è appena percepibile, un'ombra nella notte, una notte che non voglio perdere dormendo. Sto viaggiando da più di 60 ore ormai, se mi fermo temo di non svegliarmi e non voglio dormire, voglio vivere ogni istante.

Certo che quella strada, quando non ci sei sopra, è proprio una merda.

Genova si rivela ancora incredibile, arrampicata ed oscura, vie strette tra case altissime che sembrano appoggiarsi l'una sull'altra. Vie verniciate di poesie urbane, su ogni muro troverai un pensiero, spesso mal costruito ma comunque potente e, nell'insieme, armonioso. Genova è sporca, è la bellezza dell'immondizia, è il posto migliore dove perdersi. Ti arrampichi, prima o poi da qualche parte arrivi, da qualche parte troverai un'improvvisa apertura a quel claustrofobico labirinto di genuina oscurità.

Tanto basta ricordarsi che il mare è da quella parte.

La luce innaturale entra sempre con la stessa angolazione, non importa quanto io possa aspettare, rimbalzerà su questo foglio stropicciato e oramai mal scarabocchiato per diffondersi tenue nel resto della stanza, una stanza che è più casa di quanto mi aspettassi.

Sto vivendo da qualche mese in stanze come questa, talune possono sembrare prigioni, altre lo possono diventare, ma in ogni caso è ormai questo il mio nuovo concetto di casa, un concetto senza luogo, in balia di un vento freddo che mi spinge e prova a fermarmi allo stesso tempo. Questa volta non è riuscito a fermarmi, per quanto furibondo fosse, questa volta sono arrivato in tempo.

La città la si gira con lo sguardo per aria, ispirandosi con la luce per scegliere le vie dove infilarsi, consapevoli e speranzosi che solo così si possa apprezzare il battito di una città sempre meno oscura, sempre più propria, per una sola notte.

Ho financo ritrovato l'angolo di paradiso, tra i tanti angoli che ho ritrovato in questo viaggio che è solo a metà strada, che mi aveva accolto quel giorno con gli amici di Libera. L'ho ritrovato deserto, l'ho ritrovato pieno di gente che celebrava il sabato sera, ma rimarrà sempre pieno delle risate dei bambini di quel giorno, del mio bisogno di dormire, della mia voglia di non farlo.

Ho preso tanti treni per arrivar fin qui, alcuni in pieno volto, alcuni addormentati intorno a me, quieti, beati, come l'ombra del porto là, dietro le luci, con le sue sagome che si fan più deformate col passar del tempo.

Osservo il soffitto, la luce artificiale si fa sconfiggere dalla tenue dirompenza che proviene da levante, con l'azzurro che si mischia all'emissione del sodio fino a cancellarla, fino alla sua resa. Allungo una mano, ora posso chiudere gli occhi per un po'. Ricomincia il cammino, tortuoso, intervallato da pasti poco sani, birre, stazioni ed aeroporti. Non posso dormire sul serio quando sorrido così.

Col mal di vivere mi ci sciacquo il culo.

lunedì 18 novembre 2013

La febbre e la mattina

Irrompe con funzione continua nell'oscurità, ha il sapore del tabacco fresco bruciato, ha la violenza di miliardi di fotoni. Cancella la notte, il tramonto precedente e tutto ciò che c'era in mezzo. La mattina ha il volto della mietitrice del fascino. Formichine operose intorno a me camminano spedite, io guardo il cielo come il solito tossico e brucio il mio tabacco con sfrigolii di piacere. Nuvola. La notte è passata, sei sopravvissuto, quasi indenne con i pensieri criminali di una notte insonne, e ne sei uscito più forte.

Non prende sonno e quando dorme trema.

Una mezzora di follia, cancellata nel turbinio di parole, nella febbre, nei tremori, nelle urla soffocate da un cuscino, da una porta presa a pugni, dai malti.

Ma è mattina, sei in piedi e il mondo scorre operoso intorno alla tua nuvola, colazione dei campioni, gli occhi si fanno meno stanchi ad ogni sospiro, l'aria fresca di Parigi in una mattina di metà novembre. Fin da piccolo i malanni li sconfiggi con la notte, un'abilità che non hai perso, perché la notte è la dama delle frasi facilmente costruibili. Sempre.

Rimani splendido.

Rimaniamo.

mercoledì 13 novembre 2013

La coperta calda

Son notti di lavoro, son notti che non faccio finire fino a che non accade qualcosa, per lo più la chiusura del bar. Mi rifugio nella pagina bianca, antica nemica, antica compagna di tante serate. Faccio correre le dita e vedo cosa ne esce fuori, metto disordinato ordine ai pensieri della giornata. O anche solo a quelli di un momento. Mi diletto per i pochi lettori, per i perversi navigatori delle barre di ricerca, mi diletto nella speranza che qualcosa rimanga. Un punto rosso nel vento della rete.

Ho pensato che questo post sarà il primo che non condividerò su facebook, il primo in cui proverò a non mettere dentro nessuno, il primo in cui non proverò a mettere dentro tutti. Un post mio, un eviscerarsi per cambiare marcia. In fondo è sempre quello il punto, un guardare se stessi da una prospettiva distaccata, un coccolarsi in una oscura consapevolezza di voler gridare qualcosa in un prolisso sussurro di nulla.

Nel mio smodato parlare della coperta calda di chi non scrive mai ho sempre tralasciato quanto avvolgente sia il momento in cui sporco il mio schermo degli schizzi dei miei pensieri, quanto sia confortante saper di poter riempire un vuoto col proprio vuoto. La pagina da sporcare è ciò che desidero afferrare, ciò che ti stende quando si palesa nel reale.

Notte dopo notte si fan finire le dita su una tastiera col solo effetto di occupare gli occhi disattenti di ipotetici lettori. Notte dopo notte si cambia il mondo, che sia descrivendo il proprio o dando prospettive nuove a quello altrui. Notte dopo notte si cerca l'espressione migliore, arrogandosi il ruolo di ricercatore senza alcun merito. Notte dopo notte si controlla quanto sia rimasto e, quando si è fortunati, si finisce in un angolino del cervello di chi si voleva raggiungere. Che poi è sempre solo l'unica cosa che conta.

Non metterti dentro, lettore, è impossibile. Se la forza propulsiva è il distacco da quello che odio, nel profondo, è la vicinanza con te, che sia per 4 righe mal costruite o per tutta una notte, quello che voglio. Perché il lettore è il mio distacco, quell'unico vero lettore.

Scale mobili.

Non ci sono riuscito. Merda.

lunedì 11 novembre 2013

Notturno - Paris

Il post che scrivi 14 volte in 3 giorni e 14 volte parli di cose diverse. Potrebbe bastare sta cazzata per descrivere Parigi, dove il vostro affezionatissimo è relegato per quello che quasi nessuno definirebbe un lavoro vero. Una Leffe (senza sputo) ad accompagnare questo compimento della prima settimana, vecchi, disabili e minorenni all around me. Il nuovo arrivato che non si integra col gruppo che lavora due tavoli più in là facendomi sentire in colpa per non fare lo stesso. Emozioni talvolta contrastanti ma comunque sempre intense da 7 giorni.

Parigi è una città che si sa presentare, non è Brussels, Parigi è un riff di Eric Clapton, un quadro che fa da cornice al tutto, semplice, raffinata, marcia sotto. La percorro sottoterra, il mio tempo scandito dalle sirene della metro. Senzatetto ed odore di piscio separati da una manciata di scalini da scintillanti piazze infiocchetate, musei troppo intensi per farsi percepire. La percorro di notte, con le sue luci gialle a ricordarmi quanto mi piaccia Milano, la percorro con la pioggia, passo spedito, sguardo all'insù, vento che ti ricorda casa.

Mi avvolgo nel mio felpone, nel mio cappuccio, nella mia nuvola di fumo e cammino spedito pensando alla serata, ai sorrisi, alle dita che corrono sulla tastiera immaginaria di qualcosa di reale. Parigi rende difficile mettersi poi alla tastiera vera a cercar di rinchiudere in un 16:9 quello che accade. Accade in una notte, forse 3, ora cammino sulla Senna, passando dal Musée d'Orsay al Louvre, nulla che possa capire sul serio, sia chiaro, ci ho bisogno di tempo per notare le cose, per farmele trasmettere. Io son quello che al cinema si gira per vedere le espressioni delle altre persone, in un museo non posso che inebriarmi dell'entusiasmo altrui, financo invidiarlo. Certo, il migliore era quello che, beato, con una mano sulla faccia, dormiva sereno a due passi da decine di Monet, Manet e Cézanne. Tuttavia quello che mi ricordo è il saltellio entusiastico di chi vive, assapora e respira ciò che ha studiato, ciò che ha visto in foto, ciò che forse ha rappresentato dei passaggi formativi. Vibrante entusiasmo, travolto da un insieme di quadri che meriterebbero una stanza privata giusto per pensar un po' a cosa si sta vedendo e alla propria vita.

Parigi è fermarsi a mangiare fuori da un bar, godersi la jaaz band che suona lì, a due passi. Parigi è questa casualità. È scalare Montmatre evitando i turisti, farsi stendere tipo Stendhal a Firenze e poi giù, a capofitto, infilandosi nelle stradine, sotto le tende, tra vestiti usati ed antiquariato. In un ristorante che scintilla musica francese, bevi del vino, risate, italfrancegnolo ben annegato nel rosso. Ti scalda l'anima. Poi torni su, quasi non ti capaciti di quanto sia tutto vero quello che provi guardando in basso. Sorriso.

Il bar si svuota, gli altri clienti si fanno inghiottire nella notte. Io penso che a Parigi mi manchi proprio una bici. Dovrei piantarla con sti notturni, una volta mi piaceva parlar della vita di voialtri, che però ora osservo nel suo riprodursi sempre identica, col distacco di chi ha già ripetuto la cosa fino a risultare il solito vecchio trombone. Ora sto a guardarmi l'ombelico, accoccolato nel mio felpone e cappuccio, pensando a capucci che si uniscono, sirene della metro, corse nella notte e realtà.

Parigi la rivedo nei miei peli delle braccia, Parigi è piena di topi.

Palazzo del Congresso.

martedì 29 ottobre 2013

Notturno - Groningen

E pensare che non volevo scrivere, ma il vento odierno ha un po' spazzato via la mia volontà di lavorare, coi suoi 120 e più km/h. Mi sto letteralmente drogando da due giorni con Rock'N'Roll Animal, perché quel maledetto, quello che sentivo la domenica, ogni domenica, come la messa, ha pensato bene di morire, di domenica. Ecco, ci ho sempre un rapporto maniacale con la musica (intera discografia ascoltata in ordine cronologico o morte), ma non per Lou Reed, per lui no, c'è sempre stato Rock'N'Roll Animal, troppo per rischiare di rovinarlo, e poche altre sporadiche canzoni. Un po' come, quattordicenne, ti innamori delle tette di una ragazza. Ecco, Lou Reed ha sempre avuto quel fascino troppo profondo per mettermi ad assorbirlo come solitamente tento di fare, troppo oscuro per buttarmici davvero senza pensarci. Quindi niente, è rimasto quell'amore superficiale ma non meno sincero che in fondo appartiene al passato di ognuno di noi, spero. Che poi, intendiamoci, è amore superficiale perché ho sentito solo 15 album. Si prova la stessa sensazione per John Lee Hooker. O per Frank Zappa.

Anche i Doors han fatto quella fine lì nella mia vita musicale.

Che poi è un peccato, perché ora non c'è più il tempo di mettersi a studiare come una volta, perché in fondo c'è tutta una musica del divenire che sta acquisendo un suo perché.

Oggi tirava vento, ma robe da pazzi, emergenza vera, mi ha piegato un pezzo di bici, mi ha tirato un ramo (piccolo, ma si sa che son na checca) tra capo e collo mentre tentavo invano di decidere che cuffie comprarmi tanto per viziarmi un po' con un oggetto di cui al momento non ho bisogno.

Non so esattamente cosa ci si debba aspettare da un blog, in fondo stiamo tutti lì, a migliaia, perfino milioni, a batter tasti nelle nostre oscure camerette, impegolandoci tutti in discorsi tendenzialmente più grandi di noi sulla vita, l'universo, l'amore, il sesso, al solo scopo di far passare a te, lettore capace di una sola espressione facciale, qualche minuto di vaga ispirazione, più naturale espressione di un narcisismo mal celato e talmente ridondante da rendere una qualunque critica allo stesso di una sterile incoerenza e pomposità seconda solo alla scelta dei vocaboli di questa frase.

La verità è che non volevo scrivere, nella vita pure, volevo la calda coperta bagnata di chi non scrive, volevo non avere un pubblico. E invece anche solo un lettore fisso esiste e mi preme fargli vedere quanto si possa andare lontano insieme lasciando correre le dita, in questi post che mi piace chiamare notturni, come se scrivessi in altri momenti della giornata poi. La notte è il mio regno, è il nostro regno, nella notte mai ci vediamo e sempre ci leggiamo, nella notte beviamo, nella notte fumiamo alle finestre, nella notte ci sappiamo spogliare di inutili corazze e scaraventarci addosso il fabio volo represso dentro di noi. La notte è la dama delle frasi facilmente costruibili.

La notte ci si accorge che ci si sta mettendo troppo dentro le parole, che in fondo si rasenta la pornografia, la notte rende legittima la pornografia.

La notte. Una notte. Solo una. Di nuovo.

I punti a caso.

Parigi.




domenica 20 ottobre 2013

Emozione Libera

Ieri, 19 ottobre, a Milano si sono celebrati i funerali laici di Lea Garofalo, testimone (non collaboratrice, testimone) di giustizia uccisa dal marito mafioso. La storia di Lea l'ho raccontata a chiunque abbia incontrato, perché credo sia la storia più terribile che abbia mai sentito, intrecciata com'era nella vita di sua figlia, Denise. L'ho raccontata e non riesco a scriverla, perché è un orrore talmente forte quello che sento nelle ossa che non credo di riuscire a reggere un racconto che rimanga nell'aria per più di qualche secondo.

L'evento di ieri più che per Lea era per quella fortissima ventenne che è Denise, una vita sotto protezione, una vita rubata da una violenza di uomini che si vogliono definire d'onore e che a volte nell'immaginario collettivo entrano come criminali, ma con onore. Leggetevi quella storia, fino in fondo, poi ditemi quanto onore possono avere bestie simili. Ma mi son lasciato trasportare, volevo dire altro, l'evento di ieri l'ho seguito da 2000 km di distanza e credo che per una volta valga la pena di gettarsi alle spalle la consueta corazza e provare a mettervi due righe, per una volta vorrei provare a trasmettere quell'emozione. Mi manca quel (poco) che facevo in Libera, era un qualcosa di quotidiano, di frustrante perché impalpabile ai più, ma era capace di trasmettermi quel brivido lungo gli arti, quel brivido che ti ricorda che non sei vuoto, che c'è qualcosa dentro di te e quel qualcosa ti può dare la forza di fare un passo in più e così via. Con Libera è veramente cominciato tutto sui campi confiscati a Polistena, un uragano di sensazioni nuove, un uragano che non finisci mai di descrivere, un uragano che mi portò qualche mese dopo a Torino, due giorni insieme alla grande famiglia di Libera. Poi cominciò il quotidiano, la mini responsabilità affidatami e con esso i duecentomila problemi, la frustrazione che ti può dare l'indifferenza della gente che non riesci a scalfire, ma sempre, sempre per davvero, un gesto, una fatica, che riusciva a darti la forza di affrontare la frustrazione successiva o la riunione inconcludente successiva. È lì che mi sono chiesto il perché ed è lì che è nata l'idea per questo post.

Libera non è l'unico modo di far antimafia, ci sono altre associazioni e anche modi di fare antimafia nel proprio privato, ma è sicuramente un modo di fare antimafia che ti porta ad esperienze decisamente nuove e profonde. Quella profondità è la stessa che ti spinge, come un fuoco quasi eterno, a raccontare a chiunque quello che hai sentito, perché in fondo è la cosa più genuina che puoi trasmettere. Puoi riportare informazioni che hai imparato, altre che ti sei trovato da solo, ma in fondo sai che è quella mole di emozioni che ti sta facendo continuare con passione e vuoi, ne hai bisogno, che anche altri sentano quelle emozioni, perché si attivino (anche solo nel loro piccolo, come te) e raccontino a loro volta. Questo, per me, è il modo di vincere la battaglia culturale contro la mafia, ricordare alle persone che c'è un cuore pulsante in questa Italia cancerosa.

Dunque dicevo ieri, una piazza gremita, uno streaming saltellante e i miei occhi a mezz'asta. Me ne stavo in piedi in università, perché solo da lì lo streaming poteva essere almeno saltellante, me ne stavo in piedi con le cuffie e cercavo di capire cosa stava succedendo. Si salutava una donna che è un esempio di coraggio, si salutava una madre di una figlia ventenne che sta dimostrando giorno dopo giorno di avere lo stesso identico coraggio. Una figlia che non vogliamo lasciar sola, un errore che si è già commesso con Lea. Una piazza che è un abbraccio ad una bara, un abbraccio istituzionale e popolare di una città che vuole dire basta a questa melma che le scorre nelle vene da quarantanni. Io me ne stavo in piedi, perché avrei voluto contribuire, perché avrei voluto esserci e abbracciare ogni singola persona persona presente. Fremevo, non potevo stare fermo, ero felice, ma ero triste, relegato altrove. Triste di non poter testimoniare la mia vicinanza con la mia presenza. Avevo fatto il possibile nei giorni scorsi, il possibile da qui, mail, chiamate, inviti, appelli, racconti. Ma no, non era abbastanza, non lo è mai. Avrei voluto consegnare le bandiere IO VEDO, IO SENTO, IO PARLO, avrei voluto far le foto ai balconi che le esponevano, avrei voluto prenderlo quel costosissimo aereo che avevo trovato per tornare e ripartire in giornata. Invece stavo lì, in piedi, pieno di energie e sonno, con le cuffie ascoltavo tratti di quel che succedeva. Poi chiama Denise e solo scriverlo mi ridà quel brivido. Denise, dalla sua vita nascosta, in un giorno durissimo, da l'ennesima dimostrazione di quanto grande sia il suo spirito e chiama. Poche frasi alla piazza, poche ne riesco a sentire per lo meno. Il brivido si concentra intorno agli occhi. Piango, copioso. Ricordandomi ogni istante di violenza di quella storia, ricordandomi come ha dovuto vivere Denise, con un padre e un fidanzato assassini di sua madre, falsi, subdoli, violenti. Bestie. Sono lacrime di rabbia, di dolore infuso. Piango e tutti mi guardano, ma continuo, come se fossi in quella piazza, non posso nasconderlo. La rabbia di sentire dentro la pelle l'ennesima storia di una vita spezzata da un potere che non combattiamo abbastanza, un potere criminale che vive nei nostri silenzi e nei nostri sguardi miopi. Piangevo ed ero felice, perché quella piazza non poteva più essere miope, quella piazza poteva iniziare a parlare. A Genova potevo controllarmi, lì no, era una ragazza, giovane, da sempre privata di una vita, che ci gettava addosso il suo coraggio. Eroi, di solito le persone così le chiamiamo eroi.

Poi arrivano le foto, vi vedo nella folla, vedo le vostre foto. Sono felice.
Telefono.
È stato incredibile, non puoi capire.

È vero, non posso, ma l'ho sentito.

Grazie Lea. Grazie Denise. Grazie, ragazze e ragazzi di Libera. Grazie, maledetta Milano.

giovedì 10 ottobre 2013

Masturbarsi simmetricamente

Dopo tutti sti post depressivi che manco le quindicenni coi baffi, ho pensato di tornare in un sereno clima di scrittura, sfruttando l'impossibilità di dormire, le lezioni di questi giorni, varie cose che sto pensando, la necessità di confrontarmi con le mie ben note difficoltà di comunicazione.

Pertanto, proposito di quanto segue è cercar di far capire all'uomo della strada il concetto di simmetria e il perché tutti noi ci si masturbi sopra con gusto via via crescente. Giusto per tenere alta l'immagine di scrittore maledetto drogato e ubriacone un po' radical chic consiglio di accompagnare il tutto con una Grimbergen bionda e un cd a caso di Brassens.

Nel tempo il miglior modo che ho trovato per spiegar il concetto di simmetria in fisica è stato: pensa ad una palla perfettamente uniforme in colore, se io applico una rotazione su tal bella palla tu, osservatore, non te ne accorgi, pertanto si dice che c'è una simmetria dovuta al fatto che quel sistema, il sistema palla dico, è invariante sotto rotazioni. Certamente c'è del giusto in quello che ho appena detto, ma credo che in fondo non renda a dovere l'importanza di questo semplice concetto.

Supponiamo che io voglia scrivere una teoria fisica che descriva il sistema palla di cui sopra, sicuramente mi serviranno delle variabili che in qualche modo identifichino ogni punto di quel sistema, in modo da poter descrivere con delle formuline il più semplici possibile quello che accade a quei punti. Ebbene io, che ora sono osservatore oltre che scrittore della teoria, dovrò pur fare delle scelte ad un certo punto, per esempio fissare una direzione secondo la quale definisco "dritta" quella palla. Questo è un passaggio in un certo senso obbligato, quello di fare delle scelte, MA, perché è qui che tutto si inizia a schiudere, devo tener conto che sono scelte del tutto mie, non c'è ragione alcuna per cui esse coincidano con quelle della natura. Questo si traduce nel fatto che qualunque formulina io possa usare per descrivere le cose più assurde su quella palla deve tener conto del fatto che io non so veramente, per rimanere nell'esempio poco rispettoso del formalismo di cui sopra, in che direzione quella palla possa essere definita "dritta". Soprattutto perché, vista l'invarianza di cui ancor più sopra, non esiste un "dritta" per quella palla, potrebbe ruotare su se stessa in qualunque modo e la fisica del sistema non ne risentirebbe. Pertanto qualunque cosa io scriva non deve cambiare se sposto il nord dalla classica posizione in alto a quella tutta a destra che chiamiamo est (credo).

Dunque, in un certo senso, forse più profondo di quanto possa trasmettere, la simmetria è una misura di quanto in realtà non sappiamo. In meccanica quantistica la cosa è più evidente, ad esempio, in quanto tante più simmetrie sono presenti tanto più un risultato è degenere (ovvero il numerino che misuro ha più "significati"). In altre parole, non so da dove sto guardando la palla, ma so che ok, faccio delle scelte per descriverla con coerenza, ma queste non cambiano il fatto che potrei guardarla da qualunque altro punto e DEVO vedere la stessa cosa.

Veniamo dunque all'importanza di tutto ciò. Se devo scrivere una teoria, che parta da dei dati reali o teorici, la cosa da cui devo partire è il set di simmetrie che so essere presenti in quel sistema, dunque la certezza da cui si parte per fare una teoria fisica è l'ammontare di cose che non si conoscono. O meglio, che non dobbiamo conoscere per rispettare quanto più possibile la natura. L'eleganza di tutto ciò risiede nella straordinaria possibilità che da considerazioni del tutto generali come quelle appena esposte si possa ottenere una descrizione della natura estremamente fedele a quello che si osserva.

E non è finita qui. Spessevolte (in realtà è proprio quel che si spera) questo genere di considerazioni del tutto generali vanno a suggerire l'esistenza di qualcosa di più grande che contiene quanto osservato fino ad ora come caso particolare. Si parla in questo caso di una simmetria più grande che, a seguito di opportune conferme sperimentali, può essere a sua volta descritta con relativa semplicità rilevando nuovi aspetti della natura cui non avevamo, o non avevamo ancora potuto, prestato attenzione.

Riesco a capire la difficoltà di astrarre, così da andar nel magico mondo della fisica moderna. L'invarianza sotto rotazioni è la seconda più semplice da vedere dopo quella sotto traslazioni (se il punto 0 lo chiamo 5 non deve cambiare nulla perché il punto 0 l'ho scelto io, mica Dio, e anche in quel caso sticazzi). Tuttavia mi sento di dire in questo momento di fine birra e giornata che tutta la fisica in fondo si riduce a cose invarianti sotto "rotazioni" in un opportuno spazio (la cromodinamica quantistica, ad esempio, ruota tra loro dei colori) e che in un altro opportuno spazio oscillano.

Ebbene, se non cogliete la poesia di un universo composto da pendoli invarianti sotto opportune rotazioni (anche poco intuitive per l'uomo della strada) non avete un'anima.

O forse non son stato all'altezza del mio grado accademico (pernacchia) per trasmettervi tal poesia in questa solitudine belga, ma direi che solo una volta assimilata tal bellezza si possa esser capaci di cogliere almeno di sfuggita quanto sia spettacolare l'intuizione di Higgs e colleghi e di quanto sia stato storico il giorno in cui si è scoperto che quell'intuizione aveva un riscontro sperimentale.

mercoledì 9 ottobre 2013

Notturno - Brussels

Cammino per la città, di notte, solitudine accompagnata da luci dal giallo sodio, lapilli di una sigaretta che sporcano il portatile nell'altra mano. Mano tesa, a cercare una connessione da carpire per qualche minuto, giusto per vedere se il mondo si ricorda di far accadere qualcosa.

Niente, la città non è nemmanco ospitale come speravo, divisa in due linguaggi e due soltanto, l'università ne è fiero baluardo, di questa divisione, di questa esclusività di linguaggio. Francese o olandese, fuori dalla mia aula non ho altra scelta. E sì che da qualche parte dovrebbe esserci il parlamento europeo qui, il simbolo di un'unione forse fittizia e sicuramente ipocrita in quella che sembra una città che fa della dicotomia la sua caratteristica finora più evidente. È bello difendere la propria cultura, tuttavia le barricate non han mai portato poi così lontano.

Tornare a vedere delle automobili intorno a me ha un che di fastidioso, ci sono persino dei clacson. Potrei tornare a casa e dormire un po', tuttavia quel maledetto lampione è esattamente a mezzometro dalla finestra e, come dire, è sempre il cazzo di giorno. Il campus è buio, semideserto, inquietante, alberoso, non vedo a più di 1 metro da me. In effetti una sigaretta non può illuminare più di tanto, senza contare il suo carattere effimero. 318, devo arrivare a 139. Sono pure dalla parte sbagliata, mannaggia al diavolo.

Sta cosa di non avere la connessione è sfibrante, unico legame con quella che era una vita precedente, con quella che potrebbe farsi vita presente e un discreto futuro. Sono solo al quarto giorno qui, ne mancano altri 17. Di numeri civici, invece, ne mancano ancora 130. Forse se chiudessi il portatile potrei camminare più rapido.

Quel che era un rituale ormai consolidato, il controllare gli italici avvenimenti, lo scambiare quattro chiacchere con gli amici di sempre, l'aiuto to end the day, mi è oramai precluso, schiacciato tra una serie di corsi intensivi e un appartamento rimasto negli anni 90, ma senza l'eroina. La birra aiuta, 7 gradi, praticamente estiva, finisce prima di fare effetto.

Finalmente a casa, posso mettere della musica, stasera deve essere Giuradei a fornirmi qualche strofa, un'ultima birra lo richiede mentre scrivo. L'enorme vetrata fa tutta la sua scena, cornice di una stanza vuota, dal soffito di 5 metri abbondanti, un tavolo che contiene a malapena un quaderno e un letto come abbandonato al sole del lampione al sodio che fa capolino prepotente, privando del riposo il vostro affezionatissimo. In realtà forse è la prima cosa che scrivo senza poter pubblicare istantaneamente, la prima volta che non potrò chiedere autorevoli pareri nell'immediato susseguirsi della pubblicazione. Ok, non la prima, ma in fondo serviva un tono di epicità a quello che potrebbe rimanere l'ennesimo, vuoto, gorgoglìo di parole senza tema. Percepisco a volte l'eco del battere dei tasti.

Quattro o cinque per gabbia, siete i prigionieri, senza senso né rabbia, siete i matti di ieri.

L'ultima birra è scivolata nell'interno della pelle, come fodera di un sacco pieno di disorientazione e parole pressapoco inventate. Domani si comincia con String Theory I, finalmente, un barlume di ambiente accogliente, financo rassicurante.

La tranquillità unica, che poi è una sensazione mista alla rabbia di sempre, è sapere che, al solito, gli italici avvenimenti sono decine, ma non succede mai nulla. Un Paese addormentato mentre il mondo crolla, brulica di vita.

Scoprire di aver vissuto una vera quotidianità della distanza quando forse si pensava ad uno spensierato scambio epistolare è un qualcosa che ti strappa i peli dello stomaco. Sti preti son proprio bravi a far la birra. Forse le birre condivise a distanza han tuttavia un sapore di diversa vitalità, ma confido nel fatto che da qualche parte qualcuno possa condividere cotanta corposità.

Più dell'immagine di una birra solitaria al chiaror di led c'è provare a bere una birra esaurita al chiaror di led. In una scala di immagini poco allegre, intendo. Il piano di scrivere per prendere sonno non sta funzionando, ma so per certo che mancano 4 ore allo spegnimento del lampione, alché avrò circa mezzora prima che il sole diventi troppo forte.

Mi faccio una passeggiata. 7 sigarette dura, una città che non dorme in effetti, una città che non so dove si dirami, confinati in questa semiperiferia da campus da un precluso utilizzo di google maps. Una città che ha ancora del vibrante adolescenziale sesso seminascosto nelle vene delle sue strade.

Forse potrei riconsiderare la mia posizione sugli smartphone, ma in fondo in mondo giusto avrei un appartamento di questo secolo, non credo sia necessario riconsiderare un oggetto del secolo scorso spacciato come indispensabile per il futuro per potersi far accarezzare a caro prezzo.

Vado a far l'equilibrista sulla linea tra Olanda e Francia, come se fossi l'unico a percepire quanto sia meno che un segno per terra. Pare che senza muri non ci si scomodi troppo per rimediare.
E torniamo a vestirci da diavoli sotto natale, ci sarà tempo per purificare.

Ryanair.

lunedì 30 settembre 2013

Notturno - To the ground.

Di incapacità di scrivere, su queste pagine dico, se ne dibatte molto. L'incapacità di iniziare, l'incapacità di continuare se si perde la spinta iniziale, l'incapacità di essere la stessa persona in ogni seduta illuminata dallo schermo, affumicata dalle sigarette che dovrei accendere sul balcone, resa stanca, per lo più lenta, dal thc. Non vendono alcolici decenti in sta Nazione, ti tocca fumare e francamente non è un'esperienza così piacevole se si vuole poi imprimere qualche barlume di coerenza su uno schermo. È un mese che scrivo, è un mese che cancello tutto, un mese in cui faccio uscire la parte migliore di me in sporadici episodi non pubblici salvo poi ritrovarmi vulnerabile, senza la consueta corazza che una fila di righe piene di battute non riuscite, banalità ben vestite, un bandone rosso in cima e due grigi di lato, mi procurano solitamente. Ma forse è il momento di uscire dal vulnerabile nido e vedere se ancora questa cosa funziona, se qualcosa ancora batte, non solo sospeso in un tempo non definito, di musica nuova, musica vecchia, musica studiata in aereo. 

No, non ci sarà un tema, non questa volta, non ci sarà uno scopo e nemmeno un rabbioso urlo, ci sarà quello che potrei descrivere meglio, un vuoto, una distanza con tutto ciò che sono stato che è arrivata prepotente, un water insospettabilmente alto, dei bottoni d'emergenza sulle pareti, l'assenza di un bidet, una stanza vuota, una risposta che non arriva, altre che invece arrivano. Gli spazi curvi, lo confesso, mi angosciano, se ne stanno sornioni a godersi il complicarsi della mia formulazione. La domenica spesa a mangiare zuppa in scatola, in un montante spauracchio di un passato che credevi lontano, ma che ti risveglia a pugni nello stomaco, ti rende più forte, smarrito in una deriva senza vie d'uscita.

Il mondo comincia, lento ma con frenesia, a distribuirsi intorno a te proponendosi oscuro, tu lo guardi e continui a ruotare attorno agli stessi punti. In fondo è l'orbita che fa la differenza. Iniziai a scrivere da piccolo, molto piccolo, mi piaceva scrivere i gialli, erano modi di creare mondi immaginari in cui far morire la gente, personaggi veri in storie impossibili. Con un tempo e uno spazio reale, ma banalmente impossibili. L'adolescenza porta travaglio, si sa, porta oscurità, porta successioni di eventi che determinano con violenza la persona che non diventerai negli anni successivi. O quella che diventerai. Quindi scrivi di questo, cupo, contorto, come i diari di Sara Scazzi spiattellati in prima serata, al telegiornale nazionale. 

I telegiornali nazionali non li posso più vedere, ma penso stiano dicendo esattamente le stesse cose che han detto negli ultimi 10 anni. Sono anche abbastanza sicuro che se avessi in questo momento ricordi più precisi potrei anche aggiungerne altri 10. Tuttavia ci si sente molto vecchi quando i ricordi iniziano avere due cifre, di cui una è un due, soprattutto quando è la prima. Smettessimo per una volta di preoccuparci di uomini piccoli che gridano per aver l'attenzione della stanza. Suppongo ognuno sia in una certa misura quell'uomo piccolo piccolo, o che per lo meno lo abbia dentro da qualche parte, che si affanna a lasciare qualcosa nell'immaginario più o meno collettivo. Queste pagine mi sono sempre raccontato essere per me, ma forse mentivo, forse per qualcuno sono sempre.

La musica ha del sincopato ora, stupido youtube, ma potrei iniziare a farne un gran calderone che racchiuda 5 o 6 artisti, per vedere se so ancora contare le note.

Il tempo.

Non c'è spazio per quel tempo.

Ma una volta manco c'era il tempo, un modo lo si trova suvvia.

Uno ha commentato da qualche parte che queste pagine sono l'esempio di una generazione che crede di avere tutte le semplici soluzioni. Beh, ora credo di vivere in un posto che di semplici soluzioni ne ha applicata qualcuna e, con biblico rispetto, potrei rispondergli che facciadimerda, funziona, stanno bene, orrendamente bene. Ma forse non lo leggerà mai, diteglielo voi, tutti e 5.

Mescolando frammenti di quel che ho pensato e non scritto nell'arco di un mese è uscito questo, una volta volevo riuscire a scrivere cose che la gente capisse, per lo meno intuisse, eventi recenti han evidenziato che è l'occhio del lettore ad essere artefice dell'emozione, sebbene serva il terreno fertile fornito dallo scrittore.

Bisogna saper arrivare.

Trattieni il respiro, la musica rallenta, forse si è anche fermata. Non è un infarto, è un ciclone, di oscura, tetra, allegria. Ti striscia dentro, ti accorgi che il respiro non lo stai trattenendo, semplicemente non lo possiedi più. 

BAM

La gioia, lo smarrimento, la lontananza, il distanziarsi. Come vedete, so elencare delle parole, ma non così tante.

Ho ritrovato un paio di miei blog che negli anni ho abbandonato, è stato un rapido ritorno al tormento giovanile, ma con lo spirito zen del laureato migrante. Fra 7 giorni ho un treno da prendere, una Nazione da cambiare, poi un'altra, poi un'altra, poi casa, che non è casa e di nuovo in giro, nella felice deriva sguazzante di questi anni 10, con l'incoscienza dentro, per aumentare il peso che ci si porta dietro e la forza con cui lo si sostiene.

Uno degli scadenti post che ho ritrovato finiva così, ve lo propongo con la canzone che stavo ascoltando quando l'ho ritrovato, come quasi sempre accade ho una memoria che associa cose non correlate tra loro. Godendoci una crisi di governo senza angoscia, con la stessa rabbia, quella dell'autunno che una volta era bello definire caldo e un gran vento scandinavo che soffia tutto intorno. Creando il tempo si srotola dello spazio. Così dicono.

Un mare di parole insomma, che toglie sempre più il valore alle stesse, che annega lo stesso concetto che ballonzola nell'aria in ste stesso, nero, cupo e assolutamente sconclusionato. Come se quel nero mare lo stia sudando per esporlo alla lettura di gente che potrei non conoscere, in una raccapricciante fuoriuscita di materiale cerebrale.

Non la rileggo neanche, tanto fa schifo, ma in fondo un po' sarete anche abituati, allo schifo dico. Abbastanza abituati dall'esserne ormai quasi insesibili, ci navigate dentro, siete felici e continuate, con me, a guardare il niente.


Latta e miele.

venerdì 30 agosto 2013

Cronaca di un viaggio qualunque

In una spinta di fine agosto, solitario in questi 12 metri quadri così ben assortiti, stanco, in attesa che il bagno si liberi, facciamo finta di usare questo blog come uso la carta.

Un altro quadernetto, l'ennesimo, che finirà incompleto. 
Una sfida nuova, forse la più grande. 
Il passato fuori dal finestrino, il futuro attraverso una cabina.

Tempo di percorrenza: 32 minuti. L'autostrada sfreccia calma ai miei lati.

Tempo di percorrenza: 18 minuti. Le montagne iniziano ad intravedersi, finalmente spezzando questa piattezza esasperante, ma si prosegue dritto, sempre dritto.

Tempo di percorrenza: 4 minuti. Minuti inevitabili. Freccia. Qualche svincolo, parcheggio e poi via coi miei 30 kg di orpello.

In aeroporto gli aerei li vedi solo fermi al sole, fumo l'ultima sigaretta con due spagnole, loro tornano a casa, non so dove. Io la casa la sto lasciando, fumo due nervose volte. In sala d'attesa c'è la famiglia olandese dai figli numerosi e piccoli, biondissimi, che torna dal caldo mare. Un'altra famiglia viaggia in canottiera e scarponi da montagna. Poi c'è tutta la fauna degli scappati di casa, quelli che partono per qualche mese, quelli che non torneranno, è il nostro aereo. Occhi incerti, felici, ma incerti. Molto vestiti per stare nei limiti di peso fascisti.

Altoparlante che non ascolto.
Calma, tranquilla, contenuta eccitazione.

Si prega di spegnere gli apparecchi elettronici.

La Lombardia dall'alto ha tutto un suo fascino, una ragnatela dagli spessi fili di case che nascondono le strade. Poi il tappeto di nuvole, come lava bianca solidificata che tutto ha ricoperto, a tratti spaccata rivelare i resti di una civiltà già lontana, una moderna gigantesca Pompei. Non voglio dormire, mai. Le Alpi, da vecchie amiche quali sono, irrompono da sotto il tappeto prepotenti e fiere, un maestoso saluto.

L'occhio si fa pesante, il posto stretto mi culla, la tasca della giacca è appesantita dalla mancanza del biglietto di ritorno.

L'aria olandese è fresca, forse solo pulita, ho 40 minuti di pullman davanti a me, dalla periferia alla città. Prati verdi spezzati solo da ampi laghi, animali, un susseguirsi di case col giardino davanti, magari anche la staccionata, col mattone a vista e la porta verde. Oppure bianchissime come chiese protestanti. Tutte affiancate, talvolta pure uguali tra loro, strette, con un tetto altissimo tanto spiovente da sembrare una distesa di cappelli a punta. Più che spiovente, stemporalmente (dovevo dirla, non potevo evitarla). Superiamo biciclette, auto lente, mucche ed infine un canale. Cambia leggermente lo scenario, i tetti si appiattiscono, le strade si fanno più ampie, non per le auto, per i pedoni e le bici. Siamo in periferia, quella con gli uffici, le fabbriche, la routine. Parcheggi di biciclette nascondono i prati sullo sfondo, ponti mobili ci separano dalla città, mai caotica. Sono tutti in giro, godendosi il tiepido sole delle 5, han finito tutti di lavorare un'ora fa. Un cieco attraversa la strada, il pullman si ferma in tempo e lo affianca. L'autista sta chiedendo al cieco se stesse andando alla fermata, mancavano una cinquantina di metri, ma l'ha fatto, tanto non genera traffico. 

Ora son qui, indeciso su quanto aspettare prima di usare quel cubicolo senza finestre che chiamano bagno, giusto per non avere due spettatori delle mie funzioni corporali più profonde, dopo il kebab nella parte male della città. Oddio, è pur sempre il quartiere dei fiori e sono in via dei giacinti, ma c'era del losco, del tenebroso e soprattutto del buon piccante. La torbida confessione è che magari scrivo le cose sul quadernetto, con la sigaretta che affumica la scrivania, un bicchiere di lato, eccetera, ma il più delle volte la pubblicazione, l'ultimo passo tra me e voi, avviene sulla tazza del cesso. Qui non posso, non ci sta il portatile al cesso. Un incubo.

Fortunatamente il sole è sceso dietro le case alle 22 sta volta, sono stanco e mi sento molto lontano da casa, in una stanza che non è mia con persone dal nome incomprensibile che ascoltano la mia cacca. Domani girerò, si, mi perderò spontaneamente, per non fermarmi, perché a fermarsi ci si ricorda quanto si è lasciato controvoglia. I giornali online ti ricordano quanto sei felice di aver lasciato tutto, ma il resto rimarrà controvoglia, sospeso in un limbo in attesa di una nuova definizione. 

Coffeeshop.

martedì 27 agosto 2013

Notturno

A volte mi chiedo da dove venga il vento. Poi me lo ricordo e tutta la poesia sparisce, o meglio: muta. Passo a ragionare a come ci si possa sentire in quell'unico punto del pianeta dove il vento non c'è, è nullo. Perché so che esiste, in ogni istante, un punto senza vento ed è pure ragionevole pensare che non sia mai lo stesso, per lo meno in intervalli di tempo non troppo lunghi. Ma allora che si prova a veder quel punto, privo di forze, spostarsi? Che rumore farà? Probabilmente quello del vento, ma cosa cambierebbe? Sarei in grado di riconoscere il momento in cui quel punto passerà sopra di me? Saprei dire quanto è probabile che questo accada almeno una volta a generazione? Probabilmente più di quanto possa supporre. Sarei davvero in grado di riconoscere il momento in cui tutta l'aria del mondo mi viene incontro (o scappa via) in ogni direzione? Certo, domande irrilevanti, ma in fondo odio non essere a dimensione nulla per questo, perché a quel punto non sarebbero più irrilevanti, perché quell'anarchico punto senza vento del pianeta, solitario ed ostinato, sarei potuto essere io.

La serata è fresca dopo l'uragano, rende più piacevole incendiare il tabacco, fa formare nuvole più chiare ed ampie. Sarà un inferno apatico, sto posto dico, ma dopo una certa ora, se riesci ad ignorare le strutture umane, regala solo suoni da natura incontaminata: qualche goccia riecheggia nel parcheggio dopo aver piegato una foglia, altre si spengono silenziose nei prati. Qualche pipistrello ricomincia il suo lavoro di sentinella contro le zanzare, almeno credo, sono silenziosi, ma le ali nervose non passano mai inosservate. Prendo il violino. Ho sotto di me pochi metri, ma abbastanza per farmi male se sbaglio qualcosa. Solitamente sto ben aggrappato, lasciando le gambe penzolare, ma ho il violino, mi dovrò affidare all'equilibrio.

Riempio il silenzio con note basse, vibrano tra i palazzi, si smorzano tra le foglie e si perdono verso la provinciale illuminata. Chissà se è davvero una provinciale poi, ma che importa ormai. Alzo le frequenze, la velocità, l'intensità, sovrasto tutto, le dita scorrono veloci, saltellano da una corda all'altra, imitano le ali di quel pipistrello, è una gara. Nessuno sta sentendo, nessuno ascolta mai, nessuno si rammaricherà di qualche nota presa con troppa leggerezza. Il vento asseconda le frequenze, le porta lontano, le distorce, gli alberi si piegano sotto le note, qualche goccia comincia a scivolare dal tetto.

Tuono. Senza lampo.

Si scatena di nuovo, con rabbia crescente, arriva da dietro la casa: sono al sicuro da tutto. Vedo bordate d'acqua sfrecciare ai miei lati, quasi orizzontali. Gli alberi sbattono contro le pareti come a volersi vendicare dello spazio rubato, secondo me l'ululare del vento è un FA. Loro sbattono, a tempo, è un 12/8, il tempo giusto! L'orchestra di fiati ce l'ho, le percussioni pure, è il mio momento. 27 note, una in fila all'altra, ripetute, addomesticate, decorate, ma sempre quelle 27. Si, funziona, nessuno sta ascoltando e tutto sta funzionando, anche se manca qualcosa.

Il vento gira, devo saltare, possibilmente dentro, potrei anche metterle su un pentagramma. Ecco si, se solo trovassi anche la matita...

Lampo. Senza tuono.

Il vento è fuggito lasciando solo della bagnata frescura. Finisco la sigaretta, come brucia bene. Attimi persi, come la volta che sono stato nel punto senza vento, svaniti come le 27 note e le successive mancanti.

Pettinare palle pelose.

sabato 24 agosto 2013

Farewell

È un po' che la meno con sta storia che sto partendo e, nella ritrovata spinta scrivente, ho deciso di sporcarvi lo schermo di rosso, grigino e nero ancora una volta. Lascio prima un po' sfrigolare la sigaretta da sola, che magari quell'unico, solitario, necessario cubetto di ghiaccio nel whiskey compie il suo destino. Sistemare la musica prima di partire mi ha fatto quasi completare la compilation blues che da anni ho in cantiere. Oddio, mancano ancora 5 o 6 pezzi e non sono sicuro dell'ordine, ma mi piace raccontarmi di non essere ancora a 3 anni dalla conclusione. Però mi ha fatto notare che, per uno che ascolta fin troppo fedelmente solo musica prodotta prima dell'85, il duemila pare abbia segnato un ritorno in gran carriera del blues. Non tutto il male vien per nuocere, ma magari studio ancora un po' prima di infilarmi in un post musicale, di nuovo. Poi mi becco del radical chic, di nuovo. Che poi son solo il solito pirla, come sempre.

L'estate è arrivata tardi, ha ruggito violenta e pare essersi spenta in un soffio di polvere e turisti di rientro. Mi mancano pochi giorni, ho quasi risolto ogni problema immediato, devo giusto capire come far stare buona parte della mia vita in 20 kg e la cosa deprimente è che molto probabilmente ci riuscirò, se non altro per un obbligo imposto da logiche ignare di qualunque principio della teoria degli errori.

Mi è capitato di partire, nella vita dico, alle volte anche proprio per non tornare, tipo quando mi han strappato via da Milano per quell'inferno apatico chiamato Brianza. Quasi sempre però son partito ben consapevole di quando e come sarei tornato. Giusto una volta questo pensiero non mi sfiorò nemmeno, la grande fuga del 2009. Quattro amici, una macchina piena di cose poco usate, una tenda, un'Italia da girare, da costa a costa, nessuna tabella di marcia, che tanto anche a farla non resisteva più di mezza giornata. Quella volta lì si scappava tutti da qualcosa, chi dal vuoto, chi dall'instabilità, chi dalla troppa stabilità, chi dai propri errori, chi da una combinazione delle precedenti e chi non ha neanche mai detto il perché. Però sapevo che prima o poi saremmo tornati, che i soldi sarebbero finiti, che era un giro dell'Italia e dunque, per definizione, dal punto di partenza ci doveva pur passare. In quel viaggio forse ognuno di noi cambiò, seppellire un cadavere non è cosa di tutti i giorni se poi non ci girano sopra un horror scadente e in fondo in 5 in auto non ci si stava. No, non fu quel tipo di viaggio, ma fu un viaggio che ci unì, in maniera strana, quell'unione che non ha bisogno della vicinanza per resistere. In fondo uno è già andato da un po', io lo sto in un certo senso raggiungendo, l'altro ci sta pensando e l'ultimo chi lo sa. Tuttavia da quella fuga ho sempre avuto la sensazione forse ingenua che lo scorrere del tempo non possa allontanare il ricordo di quei 4, più magri, meno istruiti e con più capelli, che hanno rotolato per l'Italia e sono quasi morti uscendo dall'autostrada, o almeno così ci piace ricordare.

Quella macchina è la stessa che portò due di noi, in un infinito viaggio senza grandi soste, fino in Calabria per fare un campo di volontariato di Libera. Anche quella fu una fuga per noi, sebbene si rivelò poi qualcosa di più profondo e duraturo, abbastanza da non poter essere contenuta in un paragrafo di un post (soprattutto perché ne ha già uno tutto suo), la scoperta di una nuova famiglia. Una fuga che riprese a fine campo, in salita sulla Salerno-Reggio Calabria, con troppo sonno sulle palpebre e troppi pensieri nella testa. Al punto che alla fine ci si fermò a galleggiare in cerchio come i vecchi nel basso Lazio, con la tenda, la stessa, piantata con solo un terzo dei picchetti perché posta su una buona approssimazione di ciò che definirei cemento. Un ritorno che durò ancora qualche giorno, ne avevamo bisogno. Un ritorno fatto in folle, perché quell'altro idiota era partito praticamente senza soldi e avevamo fatto l'ultimo pieno prima di Perugia. Ma, anche lì, tornammo. Tornammo e per me cominciò una grande esperienza, ora soffocata da troppi mesi di tesi, lavoro, preparazione, con Libera. Qui, in Brianza. Quante cose sono successe solo perché ho passato 7 giorni in una scuola elementare in Calabria con altri 35 amici.

Ma ora è diverso, il biglietto è di sola andata e io non sto scappando, se non da un sistema e una società che non mi hanno voluto. Ma per una volta voglio fare solo il sentimentalone, non parlerò dei perché, li sapete, sono quelli di tutti gli altri. Ne ho una paura fottuta, di quel "sola andata" cliccato di corsa per non pensarci troppo. Ne ho paura perché qui sto lasciando veramente tutto, dalle esperienze fatte a quelle linee d'universo più o meno volontariamente non percorse e, per quanto sia consapevole che semplicemente se ne stanno spiegando altre davanti a me, non posso non pensare che quelle stiano svanendo: per quanto mi possa impegnare ad accumularle fra 7 giorni saranno esperienze ormai svanite via. Poi ci sono le cose molto importanti, che rimangono anche se io vado proprio per la loro importanza e per tale importanza non meritano di essere scritte qui.

È tuttavia inutile negare che però mi mancheranno anche cose che potrebbero sembrare più stupide. Tipo Radio Popolare mi mancherà, sono quasi 20 anni che la sento e non poter più mettere sul 107.6 mi mancherà. Tra l'altro la fuga del 2009 di cui sopra venne proprio concepita di ritorno dagli studi gialli di via Ollearo, nel traffico della circonvallazione alle 18, dopo Mentelocale. Mi mancherà nonostante possa sentirla ancora in streaming, mi sentirò sempre un po' in ritardo e di certo se c'è qualche iniziativa non ci potrò andare con troppa facilità. Certo è che sto andando via proprio per avere uno stipendio, quindi potrò finalmente abbonarmi con soldi miei, dopo tanti anni.
Tipo il Libra, il pub più a Berlino della Lombardia (o qualcosa del genere), mi mancherà, perché è difficile immaginare un altro posto che mi faccia sentire a casa dal primo giorno (e se non ti ci senti, a casa dico, c'hai dei problemi di vita). Perché la famosa fuga del 2009 sarà stata concepita in auto ma pianificata, per quanto inutilmente, al sole di un lampione proprio lì davanti, perché è stato luogo di incontri importanti, scontri dolorosi, playlist composte da pezzi dei Clash o dei Ramones, angurie ricolme di vodka, chupiti, abbracci, ghiaccioli, serate al bancone, scrittura della tesi, amicizie coltivate e amicizie anche solo abbozzate. Due esempi di quotidiano che mi lascio alle spalle e che, come mille altre cose, non avrò più, non nel quotidiano. Ecco, questo fa paura nell'andare via, soprattutto senza sapere se e quando si tornerà (oltre che come turista, intendo).

Si, non ho parlato delle persone (a ben vedere si, ma non abbastanza), però in fondo ho pensato che quelle che val la pena vedere le posso vedere un po' in qualunque posto del mondo, tanto meglio se non è un posto dove sto peggio. Eppoi, che cazzo, mi sto fabiovolizzando troppo in questi post, mica mi posso addentrare in sto discorso. Suvvia.

Quindi gnente, mi mancherà l'Italia, nonostante l'Italia e il suo costante impegno a non farsi rimpiangere.

La sigaretta non sfrigola più e non è la stessa di prima, il bicchiere è vuoto, la compilation prosegue nel suo riempire la notte, in 20 kg non ci starà mai tutto, perché non tutto si può lasciare a casa, anche se sta smettendo di essere casa.
Farewell, non pensarci e perdonami se ti ho portato via un poco d'estate
con qualcosa di fragile come le storie passate

Bigodino.

venerdì 23 agosto 2013

Raddrizzare la rotta

Non troppo tempo fa scrivevo di aridità e mi ripromettevo di parlarvi di ciò che probabilmente l'aveva causata: il mio lavoro da stagista. Vi dirò, l'esperienza è stata tanto svilente, tanto frustrante, che anche solo l'idea di spendere parole su parole di quanto sia malato un sistema che ritiene fortunato (perché alle volte questo mi hanno detto, che ero anche fortunato) uno che percepisce un euro e quaranta l'ora per otto ore al giorno, mi ributta in un mood depressivo da rendere necessaria una pausa prima di continuare a scrivere questo post. È un'esperienza finita, che farò di tutto per non dimenticare così che non capiti mai più. Tipo il fascismo.

Quindi ho pensato che il modo migliore per allontanarla potrebbe essere parlare di quell'unica cosa che faccio con costanza più o meno manifesta da 12 anni: la fisica. Forse ci potrei mettere giorni a scrivere questo post, forse lo spezzetterò pure, ma è un post di dialogo verso quel fisico che ho perso per strada nei mesi successivi alla laurea e verrà pubblicato senza mai venir corretto. È forse il post più difficile che potessi cominciare e sapere che verrà letto per lo più da fisici (salvo strani flussi di visita) mi mette anche una qual certa ansia da prestazione, anche un po' di timidezza perché alle volte chiedere ad un fisico di parlare di fisica può essere il modo più violento di metterlo a nudo. E allora violenza sia, sto per iniziare (2 settimane) un percorso che vorrei mi portasse a fare quello nella vita, questo potrebbe essere un modo per ricordarmi com'ero quando ho iniziato.

Ho cominciato a far fisica, intesa come passione prima ancora che come percorso universitario, perché ho avuto al liceo un professore che sapeva trasmettere quella passione. Un passione che invidiavo, che volevo mia. Così mi sono avvicinato, piano piano, con scivoloni anche evidenti ma senza mai avere dubbi, a questo mondo di equazioni, di cose oscillanti, di ricerca dell'eleganza. Perché una cosa che si impara ben presto, ma non si finisce mai di apprezzare fino in fondo (non ancora per lo meno), è questa tendenza che sembra avere la natura nel rendersi più semplice man mano che si allarga l'orizzonte dei fenomeni che analizziamo. La selva di equazioni si riduce ben presto a pochi principi, da cui tutto deriva seguendo linee logiche, sollevandomi dall'onere di dover ricordare a memoria quell'infinità di leggi che uno può trovare ad un primo studio. Anche questo è eleganza. Certo, alle volte ti tocca dover affrontare pagine e pagine di sudore e fatica per ottenere un risultato, ma è anche vero che un po' per pigrizia, un po' per, appunto, eleganza della natura, capita spesso che il lavoro noioso vada fatto una sola volta nella vita. Sono i famosi conti che danno risultati ultra noti, ma che bisogna fare almeno una volta nella vita per vedere veramente in prima persona dove l'eleganza e la simmetria ci semplificano la vita e in un certo senso determinano la natura.

La fisica per me è stata anche il mezzo che mi ha permesso di lasciare il nido, di cominciare un periodo della mia vita in cui posso vivere con le mie sole forze, andarmene di casa, andarmene dall'Italia e iniziare a vedere il mondo un po' meglio di come lo vede un turista. Perché c'è anche quello, oltre al perpetuo interrogarsi su cosa faccia muovere le cose, ogni pagina scarabocchiata è servita anche a diventare più indipendente, libero e, visto come gira il mondo della ricerca, condannato a cambiare dai 3 ai 5 Stati nei prossimi 15 anni.

Arte dell'approssimazione, tutto è un'approssimazione di qualcosa di più raffinato, ogni equazione, ogni soluzione, ha un intervallo di validità, un limite a cui tendere, dei termini da ignorare perché le cose non si complichino troppo. Potrebbe così sembrare un gioco quasi filosofico, ma è qui che avviene il miracolo (che poi di sovrannaturale non ha niente): funziona, nel suo non funzionare mai, funziona. Ecco, aggiro il mal di testa che potrebbe venire ragionando troppo su questo pensando che in questo ci sia tutta la bellezza e ci ricorda qualcosa di molto importante: la vita di tutti i giorni è governata da leggi fisiche che non sono che una flebile ombra di qualcosa di più grande, semplice ed elegante, qualcosa che piano piano si cerca di smascherare, ma che per definizione ci rifugge. Ebbene, questo ci ricorda in ogni momento quanto siamo insignificanti, quanto piccolo sia il nostro spazio nell'universo e, per quanto mi riguarda, anche quante volte diamo troppa importanza a ciò che accade.

È anche frustrante, ah se lo è. Trovarsi davanti a lavori altrui dopo anni (non tanti, ma comunque anni) che si fa quello, che si prendono briciole di comprensione dal duro lavoro e non capire, non sapere da che parte cominciare. Rifare gli stessi conti ancora ed ancora senza trovare l'errore, ribaltare il problema, mettere in dubbio ogni cosa. Non è facile, è la parte demotivante, ma in un certo senso anche quello che mi ha fatto crescere di più. Saper che un lavoro possa finire nel nulla non è certo il miglior incentivo, non per me per lo meno, ma saperlo accettare è ciò che ti rende in un certo senso senza paura, ti insegna a metterti in gioco, a metterti in discussione. Spaventa, questo è vero, mi sento spesso come se da un momento all'altro saltasse fuori qualcosa che possa dimostrare inequivocabilmente che la strada che ho preso non è quella giusta, che avrei dovuto fare altro.

Già, fare altro, ma cosa? Sono un fisico, mi sento un fisico, voglio sentirmi un fisico e non saranno certo dei titoli accademici a darmi sicurezza e no, probabilmente non ho un piano B. Spero solo che le varie lezioni che ho imparato, il metodo di lavoro, lo spirito di sacrificio, possano poi tornarmi utili qualunque sia questo piano B. Ma visto che per il prossimo futuro il piano A sta reggendo, meglio spendere qualche parola in più (e magari anche qualche frase fatta in meno, visto quel che ho scritto fin qui).

Mi troverò a lavorare per i prossimi 4 anni in un gruppo di ricerca che vuole trovare un modo di quantizzare la gravità. Mi spiego meglio, si vuole trovare una descrizione dell'interazione gravitazionale che preveda che questa sia trasportata da particelle (i gravitoni) in maniera discreta, non continua (vogliano perdonarmi tutti i fisici alla lettura). Perché dovremmo voler fare questo? Perché per le altre 3 interazioni fondamentali (elettromagnetica, nucleare forte e nucleare debole) questa descrizione sembra essere la più adatta per i fenomeni che possiamo osservare ed è brutto che la gravità si comporti in maniera differente. L'uomo della strada potrebbe anche chiedersi che gliene frega a lui di tutto ciò e probabilmente per il prossimo secolo potrebbe anche avere buone ragioni per chiederselo. Bisogna però ricordare che il Novecento è stato un secolo di sviluppo tecnologico pazzesco anche (e volendo potremmo dire soprattutto) perché si è riusciti a comprendere più a fondo i meccanismi che governano la natura da un punto di vista sempre più elementare. Questa comprensione sempre più profonda ha successivamente portato a grandi idee che col tempo ci hanno permesso di mandare messaggi in ogni pare del mondo accarezzando un telefono grande come il palmo della nostra mano (tanto per dirne una). Ebbene, provate a pensare che gigantesca distesa di possibilità si potrebbe aprire davanti a noi se potessimo sfruttare un'altra interazione (quella mancante per quanto ne sappiamo) che coinvolge qualunque corpo dotato di massa e che avviene in maniera del tutto spontanea. Non ci si riuscirà certo nei 4 anni di cui sopra, ma è stimolante sapermi parte, per quanto ultima ruota del carro, di una ricerca che va avanti frenetica da decenni.

Come dicevo, ho un po' perso per strada il fisico che mi sentivo di essere, forse è solo stanchezza, forse è mancanza di stimoli non avendo nemmeno incominciato, però ora mi accorgo di non aver messo in questo post nemmeno un decimo del fuoco che mi brucia dentro, nemmeno un decimo di quella passione che sento. Credo anche di sapere il motivo, che poi non è altro che la spiegazione dell'espressione perso per strada. È tanto che non mi sposto da un posto ad un altro con un foglio spiegazzato ed una penna in tasca, è tanto che non fisso il vuoto, è tanto che non mi dimentico di pranzare perché sto finendo qualcosa, è tanto che non rinuncio ad un numero eccessivo di ore di sonno per approfondire quel qualcosa, è tanto che non vado a letto così concentrato su un argomento da continuare a elaborare nel sonno, è tanto che non mi sveglio di colpo per scrivere un'intuizione nitidissima che mi è venuta dormendo, è tanto che non mi sveglio la mattina dopo e mi accorgo che, come al solito, non ho risolto il problema dormendo, è tanto che non provo a riaddormentarmi che magari funziona, è tanto che non esco con gli amici e mi trovo senza nulla da dire perché mi vengono solo discorsi su, chessò, la teoria delle stringhe (badate bene, non sto dicendo che ora ho qualcosa da dire, semplicemente non posso guadagnare tempo raccontando loro cose che non sanno). Ecco, forse per un post che nelle intenzioni volesse spiegare la passione avrei dovuto cominciare elencando queste azioni, così naturali e spontanee, ora passeranno queste due settimane di riscaldamento, a casa, coi miei libri ed i miei appunti, sperando che gli ingranaggi tornino a girare in fretta, perché inizio a star male a non essere più un fisico.

Che poi è la miglior sintesi di tanti concetti tipo la passione, il non aver un piano B e tutte ste menate che vi ho proposto in questo giorno di agosto.

lunedì 15 luglio 2013

La cosa fastidiosa


La cosa fastidiosa dell'uscita di Calderoli potrebbe essere che per anni abbiamo (non io, io mai, 'catroia, io mai) fatto passare simili uscite come battute, folklore, enfasi, prima di accorgerci (io, lo ribadisco, me ne ero accorto anche prima) di quanto ogni giorno permettessimo ad un partito xenofobo, razzista, anti-italiano, anti-europeo di scorrazzare amabilmente tra le nostre istituzioni.

Invece, a ben vedere, è che ancora una volta, per un'ora, una settimana, abbiamo dato visibilità ad un partito il cui pensiero ha il peso politico che hanno i rutti nel vento e che con tali emissioni di gas è stato sovente esprimersi per oltre un ventennio. Un partito che è stato il braccio armato, ma anche la mano nel culo, di una serie di governi che mai hanno fatto nulla per aiutare gli altri, ma solo per aiutare uno. Un partito che nonostante abbia il 4% controlla 3 delle maggiori regioni d'Italia proprio per quei giochini di potere appena citati. Un partito che manco ha mai saputo far contenti i propri elettori, visto che in 20 anni mai una cosa ha portato a termine come promesso. Cosa che a ben vedere, era il piano fin dal principio.

Ce ne sono molti di motivi per odiare la Lega, l'ennesima emissione dal solito sfintere non entra nemmeno nella top ten. L'esistenza di questo partito sulla scena politica nazionale, anche dopo le varie ruberie, le varie trote, le varie ampolle del diopo' credo sia il peggiore marchio che l'elettorato di questo Paese dovrà portare finché permetteremo loro di dire simili puttanate.

martedì 9 luglio 2013

Aridità

Come avrete notato, non sto più scrivendo, salvo piccoli sprazzi scadenti, da un bel po'. I maligni avranno già pensato che gli sprazzi scadenti siano in realtà il punto fermo e solitario di queste pagine da anni.

Probabile che abbiano ragione.

Probabile anche che prendano una malattia venerea da un cesso di Trenitalia.

A volte la vita è strana.

Uno dei motivi (del non scrivere, non della stranezza della vita) è che il vostro affezionatissimo ha trovato lavoro, se così lo si può definire, e si ritrova ben poco tempo per inzzozzarvi lo schermo, al punto da ritrovarsi a scrivere frasi in terza persona. Da qui si arriva al vero grande motivo: mi sento arido. Negli ultimi mesi son passato da giovane (mica troppo) fisico teorico, che prova a scavare nell'inifinitesimo mistero di una natura vibrante a giovane precario, stagista, sfruttato dai suoi superiori e ormai maestro del copiaincolla. Dall'essere un po' costantemente incazzato con le tante cose fastidiose che ci caratterizzano e per questo sempre pronto a discutere, pontificare, essere fastidioso a mia volta, ma comunque sempre con l'intento di stimolare una riflessione (anche se stupida, soprattutto se stupida), al pensare a cose come gli stipendi, le tasse, cose così, che se racconti alla gente di certo non stimoli null'altro che il tiepido ricordo di quanto sia misera l'esistenza di tutti noi.

Ma la brutta abitudine di fare periodi troppo lunghi non l'ho persa, quella mai.

Insomma, anche se poi non lo si è quasi mai, per scrivere bisogna sentirsi abbastanza interessanti da imprimere sui vostri schermi qualche proprio pensiero più o meno copiato. Con la fine degli studi, che molti potrebbero definire crescere, ma che io chiamo più moriredentro, ho perso, sento di aver perso, quella sensazione.

Ma non temete.

Visto che far tanta fatica per raggiungere il mio mediobasso livello da fisico teorico per poi ottenere un posto da stagista di una tristezza ed opprimenza uniche mi è stato stretto fin da subito. Visto che I don't wanna grow up. Visto che mi son sentito preso a calci dal mio Paese. Visto che quanto segue è andato a buon fine e l'ho preso come un segnale del mio mai espresso valore. Insomma, viste tante cose, fra 2 mesi me ne vado a fare il fisico teorico (a provarci, suvvia) in Olanda (sineddoche) per 4 anni. La speranza, beh una delle speranze, è che torni così anche un minimo di creatività o per lo meno la presunzione di averla.

Si, la rabbia non serve che torni, ma con la creatività tornerebbe la capacità di una sua sana espressione.

Tutto questo per dire che c'è speranza per tutti di trovare un modo piacevole di andarsene dall'Italia.

mercoledì 29 maggio 2013

Per quanto voi vi crediate assolti

Sarò breve (forse) e non ripeterò le decine di critiche a Grillo ed al M5S che ho maturato nel corso dei mesi. Però, in una certa misura, come lui non mi sentirei mai di assolvere l'elettorato dalle sue responsabilità: chiunque si identifichi come il responsabile del male del Paese è stato votato da noi, per questo è colpa nostra.

La distinzione la farei tra chi vota per partito preso, sull'onda della promessa che riguarda il proprio orticello, e chi invece cerca di informarsi e prova ad avere una visione d'insieme. Purtroppo è una distinzione che colpisce trasversalmente l'elettorato di ogni partito e movimento. Per come la vedo io c'è un'Italia buona, che rispetta le regole ed è disposta a rinunciare a qualche privilegio mal riposto, e un'Italia che se ne frega (e purtroppo per una serie di motivi storici e culturali questa è la maggioranza).

Inutile cercare a quale parte politica mi riferisca, non vi darò l'appoggio per fare i tifosi anche qui. C'è chi vota perché pensa che tizio salverà il Paese, c'è chi vota perché gliel'hanno detto, c'è chi vota contro un nemico, c'è chi vota perché si è accorto di alcune cose da cambiare e c'è chi vota per tenere il proprio potere. Fine. Non è questione di pensionati, dipendenti pubblici o che: è questione di voler o meno far parte di una comunità, di interessarsi o meno dei problemi altrui e saperli commisurare ai propri.

In questo senso non vedo con tanta preoccupazione il calo d'affluenza alle urne, se io volessi fare un voto di protesta andrei ad annullare la scheda, mica starei a casa. La mia personalissima speranza è che tutti quelli che per anni hanno votato senza aver avuto il minimo interesse, se non al più lo spirito dell'ultrà, nella politica si siano semplicemente risparmiati il disturbo di andare a votare a casaccio come hanno fatto fino ad ora.

Perché, lo ripeterò sempre, il 99% delle discussioni sul marciume politico si risolve in
bastava non votarlo.

Quindi ben venga anche Grillo che in un certo senso mette gli elettori davanti alle loro responsabilità.
Si scoprì così che la maggioranza silenziosa semplicemente non aveva niente da dire. (cit.)

domenica 12 maggio 2013

Dettagli rubati alle prime volte

La scenografia è un po' la stessa di quando è toccato a te, le tuniche bianche, il parentato al gran completo col vestito delle domeniche speciali, fotografie con tutte le possibili coppie che si possono formare con lo stesso. Tutti in religioso rumoreggiare si percorre la navata circondata da statue che raffigurano uomini vecchi col viso da bambino e donne giovanissime con lo sguardo basso.

La nuvola di incenso si avvicina e quasi nasconde il buffo cappello del cardinale, che, come una star, occasionalmente guarda qualcuno nel cordone umano che definisce la sua strada e fa un cenno. Non un saluto come le ammiccanti protagoniste del red carpet farebbero, ma un cenno che in altri contesti vorrebbe dire tu sei morto ma che, in questo caso, vuol dire che ti benedice nel nome del Signore Nostro Gesù Cristo (SNGC).

A questo punto comincia la coreografia, cui oramai si pare obbedire quasi fosse un riflesso pavloviano, per cui se la colpa è tua, tanto più quando è grandissima, ti devi battere sul petto. Non con orgoglio, con sincero pentimento. Si ripetono le parole a mezza bocca, alcuni muovono solo le labbra per mimetizzarsi in un brusio indistinto. L'importante è che chi vi sta guardando, io dunque, nel vostro vestito buono delle domeniche speciali, non si accorga che state mentendo di fronte a quello che probabilmente credete essere un essere onnipotente ed onniscente. In fondo quanto può avere bisogno della vostra sincerità un essere del genere? Basta l'impegno, basta farlo col cuore.

I baldi giovani, tirati a lucido con la barba appena rasata, profumati come solo un vero uomo del 2000 sa essere, si scambiano, sotto ettolitri di gel per capelli, sguardi divertiti. Magari partecipano alla coreografia, più che altro quanto basta perché nessuno possa notare la profonda distrazione che si inducono vicendevolmente. I più audaci sbirciano le loro coetanee agghindate come baldracche, per aumentare nell'apparenza il numero di anni che le separa dal compimento del primo decennio di vita.

Una signora ha lo sguardo basso e zoppica, avrà circa 40 anni, gli occhiali scuri. Un occhio pesto del genere non si nasconde facilmente.

Come dice? Ha sbattuto contro una porta?

Che sfortuna sbattere anche dall'altra parte rialzandosi.

Posso vedere fin da qui il dispiacere dell'omone che ha accanto nell'apprendere di questo suo incidente. Del resto quei segni sulle nocche sono evidentemente provocati dai pugni contro il muro che un vero uomo scaglia quando è turbato. Deve proprio volerle bene, guardi che gonfiore quella mano destra. La stessa che si batte sul petto, che fa il segno della croce. Quella mano che porta il figurato corpo di NSGC alla bocca poco dopo che il cardinale dal buffo cappello ve l'ha porto pronunciando le parole di rito.

Scambiamoci un segno di pace.

sabato 20 aprile 2013

La vera essenza della legislatura

Considerazione a caldo.
Ha vinto, come previsto, il nome che non aveva ancora detto nessuno. Un peccato sia lo stesso nome che non aveva detto nessuno nemmeno 7 anni fa.

Come sospettavo, il PD aveva un piano. Si è realizzato, bravi.

È che era un piano di merda.

Gli errori e le prospettive

A cercar di capire il PD di questa settimana si fa oggettivamente fatica e, come detto nello scorso post, serve per forza aspettare il risultato finale. Il problema di un vecchio modo di fare politica, cioè IL modo di fare politica con discussioni, compromessi, accordi, tatticismi, è che abbiamo una visione in diretta di ogni movimento e, chiaramente, il malcontento sale.

Sono convinto, verbo forte e non così veritiero, che quello che la dirigenza sta facendo sia, al netto di strategismi vari, una mossa per riabilitare l'immagine di quello che rimarrà del partito. Un partito che di figuracce ne ha collezionate tante e gravi e che sta raccogliendo tutta l'imbecillità all'interno delle figure della vecchia dirigenza, la quale sta, rumorosamente in modo che sia evidente che chi rimane imbecille non sia, lasciando il campo ad una classe dirigente nuova che colpevolmente non hanno formato negli ultimi 20 anni (almeno). Sventolato lo spauracchio dell'accordo suicida con il PdL si sono ricompattati come non mai sotto il nome del solito salvatore Prodi, nome da bruciare in quanto eleggerlo così, a maggioranza assoluta, avrebbe rappresentato una forzatura che a parti invertite non vorremmo mai vedere. Quello che Bersani, che è il capro espiatorio di una lunga storia di sotterfugi, non poteva prevedere è che ci fossero così tanto traditori della linea concordata dal partito tutto. Probabilmente il piano era non passare di poco, fare un passo indietro su Prodi che così non risultava condiviso come si richiederebbe e puntare sul nome che hanno in testa dal principio e che, come al solito, non è stato detto per non esporlo al tritacarne dell'opinione pubblica.

Le dimissioni di Bersani, che comunque si sarebbe dimesso a fine mese per decadenza naturale del suo mandato, sono un'altra azione plateale fatta con l'intenzione di sottolineare questa manovra rinnovante.

Insomma, una buona cosa. Quello che non perdonerò mai, tra le altre cose, al partito è che sta bagarre han deciso di farla nel momento in cui si elegge la più alta carica dello Stato, una mancanza di rispetto per il ruolo del futuro eletto e del ruolo che i grandi elettori hanno di una bassezza che raramente si è vista. Citando il buon [c*]: nel pidí troppa gente che non aspettava che una scusa. spaccarsi per marini è come lasciarsi perché lei schiaccia il dentifricio dal mezzo. Ecco, se ho indovinato i loro scopi nelle rige sopra, farlo in un momento alto come l'elezione della prima carica dello Stato è sconfortante.

Così invece si è consumata la resa dei conti finale e ora, che piano piano si sfileranno tutti i grandi vecchi, al PD si presenta l'occasione d'oro di una svolta vera. Non per quanto riguarda la Presidenza della Repubblica, quello è IL ruolo istituzionale e con la politica ha meno a che fare di quanto si pensi. L'occasione è di poter dare al partito una nuova dirigenza, una nuova organizzazione e, auspicabilmente, un nuovo modo di fare politica, al di là del leader, che non è mai stata una parola rilevante tra le fila del PD. Un modo di cambiare la spina dorsale, lo scheletro, così che il cuore pulsante ed i muscoli del partito, che ci sono, la base, i volontari, possano finalmente fare meno fatica.

L'occasione potrebbe essere una rottura col passato apatico, col passato di incomunicabilità, di incomprensioni. L'occasione è quella di costruire ciò che, mancando da anni, è in un certo senso il motivo del declino del Paese: una forza a sinistra. La costruzione di una sinistra definita, compatta, culturale, che ritorni veramente a parlare con la popolazione, che sviluppi nuovamente quell'empatia verso gli ultimi necessaria per garantire la giustizia sociale nelle loro azioni farebbe tornare a votare compatto il famoso 30% che ha sempre votato a sinistra. Essendo una sinistra post ideologica, se riempita sapientemente di idee (che non tutte devono essere di sinistra, ma almeno facciamo che tutte le idee di sinistra le propone quel partito e non gli altri, di sinistra deve esserci il modo di metterle in pratica), raccoglierebbe l'elettorato che di sinistra non è mai stato, una parte, che il 100% non lo si può avere (e non lo si deve avere, nessuno ha mai fatto bene col 100%). Toglierebbe voti ad un partito la cui idea di politica è chiedere ogni volta ad una parte dell'elettorato cosa fare, riducendo il ruolo del parlamentare a quello di guardiano e maggiordomo senza idee o iniziativa. Soprattutto costringerebbe la destra (che non c'è mai stata, come una sinistra, noi siamo il Paese del più o meno, del pressapoco, del grossomodo) a sdoganarsi da una gestione berlusconiana della cosa pubblica, a incentrare il dibattito sulla politica e non sulle cose di poco conto (perché il problema non è Berlusconi che pensa a se stesso da 20 anni, ma che il partito di maggioranza pensa solo a lui da 20 anni). Insomma il PD ha l'occasione di togliere i contorni fumosi che ha sempre avuto e riscattare la politica del Paese tutto, ha l'occasione di farci cambiare passo, a tutti, facendo finire in colpo solo Berlusconi ed il berlusconismo.

Per altro questo farebbe di fatto scomparire il M5S, che ha sicuramente dato un bello scossone alla politica (bastava una spintarella) ma che sta culturalmente agendo in maniera dannosa. Non tutti possono fare i parlamentari, non si può chiedere a tutta la popolazione ogni volta se si vogliono prendere delle decisioni, semplicemente perché serve preparazione, serve visione d'insieme, serve dialogo con chi tuo elettore non è. Per questo fare il parlamentare è, sebbene ce ne siamo dimenticati, un grande onore, un premio verso quei cittadini si sono distinti per capacità ed attenzione per la cosa pubblica. Per questo i parlamentari non sono e non devono diventare delle scimmie cui le dichiarazioni sono proibite, che devono allinearsi al volere di un popolo della rete che, anche a pensar bene (e non è il mio caso, io stesso so di essere un esempio lampante di quanto scadente sia il popolo della rete), al più ha un visione sul proprio giardino, raramente anche su quello del vicino, ma quello del vicino gli fa antipatia.

Non farlo, a questo punto, sarebbe un colpo finale ad ogni cosa per cui in sto Paese si è combattuto, pensateci bene.