Son notti di lavoro, son notti che non faccio finire fino a che non accade qualcosa, per lo più la chiusura del bar. Mi rifugio nella pagina bianca, antica nemica, antica compagna di tante serate. Faccio correre le dita e vedo cosa ne esce fuori, metto disordinato ordine ai pensieri della giornata. O anche solo a quelli di un momento. Mi diletto per i pochi lettori, per i perversi navigatori delle barre di ricerca, mi diletto nella speranza che qualcosa rimanga. Un punto rosso nel vento della rete.
Ho pensato che questo post sarà il primo che non condividerò su facebook, il primo in cui proverò a non mettere dentro nessuno, il primo in cui non proverò a mettere dentro tutti. Un post mio, un eviscerarsi per cambiare marcia. In fondo è sempre quello il punto, un guardare se stessi da una prospettiva distaccata, un coccolarsi in una oscura consapevolezza di voler gridare qualcosa in un prolisso sussurro di nulla.
Nel mio smodato parlare della coperta calda di chi non scrive mai ho sempre tralasciato quanto avvolgente sia il momento in cui sporco il mio schermo degli schizzi dei miei pensieri, quanto sia confortante saper di poter riempire un vuoto col proprio vuoto. La pagina da sporcare è ciò che desidero afferrare, ciò che ti stende quando si palesa nel reale.
Notte dopo notte si fan finire le dita su una tastiera col solo effetto di occupare gli occhi disattenti di ipotetici lettori. Notte dopo notte si cambia il mondo, che sia descrivendo il proprio o dando prospettive nuove a quello altrui. Notte dopo notte si cerca l'espressione migliore, arrogandosi il ruolo di ricercatore senza alcun merito. Notte dopo notte si controlla quanto sia rimasto e, quando si è fortunati, si finisce in un angolino del cervello di chi si voleva raggiungere. Che poi è sempre solo l'unica cosa che conta.
Non metterti dentro, lettore, è impossibile. Se la forza propulsiva è il distacco da quello che odio, nel profondo, è la vicinanza con te, che sia per 4 righe mal costruite o per tutta una notte, quello che voglio. Perché il lettore è il mio distacco, quell'unico vero lettore.
Scale mobili.
Non ci sono riuscito. Merda.
Ho pensato che questo post sarà il primo che non condividerò su facebook, il primo in cui proverò a non mettere dentro nessuno, il primo in cui non proverò a mettere dentro tutti. Un post mio, un eviscerarsi per cambiare marcia. In fondo è sempre quello il punto, un guardare se stessi da una prospettiva distaccata, un coccolarsi in una oscura consapevolezza di voler gridare qualcosa in un prolisso sussurro di nulla.
Nel mio smodato parlare della coperta calda di chi non scrive mai ho sempre tralasciato quanto avvolgente sia il momento in cui sporco il mio schermo degli schizzi dei miei pensieri, quanto sia confortante saper di poter riempire un vuoto col proprio vuoto. La pagina da sporcare è ciò che desidero afferrare, ciò che ti stende quando si palesa nel reale.
Notte dopo notte si fan finire le dita su una tastiera col solo effetto di occupare gli occhi disattenti di ipotetici lettori. Notte dopo notte si cambia il mondo, che sia descrivendo il proprio o dando prospettive nuove a quello altrui. Notte dopo notte si cerca l'espressione migliore, arrogandosi il ruolo di ricercatore senza alcun merito. Notte dopo notte si controlla quanto sia rimasto e, quando si è fortunati, si finisce in un angolino del cervello di chi si voleva raggiungere. Che poi è sempre solo l'unica cosa che conta.
Non metterti dentro, lettore, è impossibile. Se la forza propulsiva è il distacco da quello che odio, nel profondo, è la vicinanza con te, che sia per 4 righe mal costruite o per tutta una notte, quello che voglio. Perché il lettore è il mio distacco, quell'unico vero lettore.
Scale mobili.
Non ci sono riuscito. Merda.
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