mercoledì 12 marzo 2014

Di imbarazzo e stanze piccole.

Sono giorni in cui un video, che poi è una pubblicità, viene visualizzato milioni e milioni di volte perché sa racchiudere quell'umano imbarazzo che grossomodo tutti han sperimentato almeno una volta nella vita. Sono giorni in cui un giornale pubblica storielle adolescenziali che grossomodo tutti hanno vissuto o osservato almeno una volta, storielle che colpiscono giusto perché sono sul giornale, perché accadono sporadicamente qua e là nel mondo e non c'è nulla di bizzarro, ma su un quotidiano possono diventare giganti, tetre, perverse (vi ricordate il diario di Sara Scazzi spiattellato in prima serata con musica appropriata? Io si, pezzidimerda). Certo, avrebbero potuto sottolineare di più che non è un'inchiesta, ma giusto il racconto di una storia, simile magari a tante, ma non a molte. Certo, avrebbero potuto fare una piccola riflessione, giusto per non essere un lancio d'agenzia ma un articolo di giornale. Ma in fondo, al di là del lavoro approssimativo della Bea, credo che più che l'imbarazzo per una storia di libertà sessuale che potrebbe avere della sociopatia dentro, se ne parli tanto perché sotto sotto una buona fetta di lettori ha gradito quel centinaio di parole che ha dato loro immagini mentali utili per i loro momenti di intima masturbazione. Perché si può fare i difensori della dignità della donna, i bigotti indignati, ma c'è una buona fetta di popolazione che non disdegnerebbe sbattersi senza responsabilità e ritegno una quattordicenne, poco importa se ci sono 30 o più anni di differenza, scoparsela perché "tanto lo vuole" è l'intimo desiderio di quella fetta ben amalgamata nella popolazione. Per questo c'è una legge e per questo non si fa educazione sessuale nelle scuole.

Storie di imbarazzo o da imbarazzo. Pare che tirino e quindi ve ne puppate una.

Si entra con il passo di chi è probabilmente in ritardo, un silenzio quasi religioso, ti pare quasi che i tuoi passi possano riecheggiare nei corridoi.
Salve, avrei un appuntamento.
Si accomodi prego, arriva subito.

Si accomodi, come se fosse comodo aspettare lì. La sala d'aspetto sarà 15 metri quadri, 8 sedie blu, qualche rivista ammassata che non legge mai nessuno. Ci sono altre 4 persone già, al tuo arrivo scambi un mezzo sorriso ad occhi bassi con al massimo due di loro. Ti siedi e ringrazi di non conoscere nessuno. Ognuno cerca di evitare gli sguardi altrui, c'è solo uno che per ingannare il nervosismo osserva con discrezione ogni movimento altrui per scriverci un pezzo sul blog. La testa è sempre mezza china, lo sguardo fisso, può esserci una gamba che saltella nervosa, quello dipende dal soggetto, ma in fondo il comune denominatore sono le mani. Tutti nascondono le mani, c'è chi tiene le braccia conserte, chi le ha sotto le cosce, chi giochicchia con le punte dei capelli, chi le avvolge attorno ad un touchscreen. Te ne accorgi quando noti il tremolio nelle tue.

I minuti si scandiscono con l'arrivo di figure differenti dal sorriso rassicurante che abbozzano nomi mal pronunciati.

Eppure basterebbe solo iniziare ad ascoltarsi magari, quattro chiacchere sul tempo, qualcosa che ammorbidisca l'aria sopra i capi chini.

Inizi a respirare cercando di sembrare meno nudo, la nudità di avere persone nel tuo stesso identico stato di imbarazzo ansiogeno.
Pochi minuti e passerà tutto, ti ripeti, pochi minuti e potrò alzarmi e camminare via da questa situazione in cui chiunque potrebbe migliorare le cose ma in cui nessuno, soprattutto tu, accumulerà mai abbastanza coraggio per farlo.

È il tuo momento. Dai, alzati e salutali, un sorriso può far sempre bene a degli sconosciuti. Non lo fai, con lo sguardo basso sei arrivato e te ne vai allo stesso modo. Abbandoni quei 15 metri quadri di storie non raccontate e vai. Perché una volta in quei 15 metri quadri, anche se non è un'unità di crisi, è come se tutti, compreso te forse per condizionamento, avessero la faccia di chi in crisi ci entrerebbe se si dovesse aspettare oltre o peggio rimandare.

Ripassarci davanti qualche decina di minuti dopo ti cambia lo sguardo ed il sorriso, ma quell'atmosfera di imbarazzata nudità condivisa riesce lo stesso a colpirti. Non scambi mezzo sguardo e torni a cercare il sole sulla faccia.

La prossima volta sarà più facile, la prossima volta saranno meno sconosciuti, la prossima volta, te lo ripeti, sorriderai e renderai la giornata di qualcuno più leggera per un secondo, renderai la tua più significativa per un secondo.

In fondo basterbbe farci compagnia.


No, non è il racconto di chi va a donare sperma. Quello lo pubblico verso Pasqua.