domenica 25 marzo 2012

Kony e predicozzi. Tutto questo dal pulpito sbagliato

In questa serata in cui protesto perché uscire il sabato sera è troppo mainstream, mica come passare la notte facendo conti buffi, ho deciso di prendermi una pausa dalle sudate carte e parlare dell'evento internettiano dell'ultimo periodo: Kony 2012.

Il video credo oramai l'abbiam visto un po' tutti quindi non sto qui a raccontarvelo e son troppo pigro per linkarvelo. Sono state avanzate validissime obiezioni dalla stampa di mezzo mondo (se ne son persino accorte le Iene ieri) e dai numerosi videoblogger che han ribattuto colpo su colpo le tesi dell'autore del video (nella mia top ten delle persone preferite del mese per essersi fatto arrestare nudo e ubriaco dopo aver distrutto due auto in pieno giorno). Ma non è di questo, né tantomeno delle onnipresenti (ma sempre con qualche fondamento) tesi sul colonialismo americano, che voglio parlavi: gente che ha studiato meglio lo ha fatto benissimo al posto mio.

Invece voglio parlarvi di quanto gigantesco sia stato l'impatto virale di questo video. I milioni di visitatori crescevano ogni ora, il numero di video identici ma sottotitolati in varie lingue è in costante aumento dalla seconda settimana di esistenza di questo video di, udite udite, 30 minuti! Senza contare tutte le emittenti televisive che han riproposto ogni singolo fotogramma di questa storia e senza contare il fatto che la visualizzazione su facebook non aumenta il contatore di youtube (per lo meno non secondo i miei esperimenti). La cosa, a mio avviso, può essere letta come una bella speranza per questo pianeta. Non è il video di un gattino ubriaco che piscia su un bambino che ride ad aver fatto il giro del mondo, è un video che, per lo meno al primo sguardo e al netto delle obiezioni sopra citate, ha un messaggio sociale ed umanitario, di impegno civile. Ed è un video di 30 minuti, che richiede tu smetta di vivere la corsa della tua giornata per guardare un filmato il cui messaggio attende un buon numero di scene per palesarsi. Il tutto in una società in cui chi guarda un porno di 5 minuti salta le scene che oramai ha capito come vanno a finire. Lo faccio pure io, spero sempre che dopo i fazzoletti alla fine si sposino facendo trionfare l'amore, che è il vero messaggio di ogni video porno.

Certo, il video è fatto benissimo e il messaggio comunicativo è penetrante.

Tuttavia le scene di pompini le salti dopo un po'.

Ma torniamo a Kony 2012. Oltre a mostrare un uso della timeline di facebook che tu, comune mortale, mai potrai avere, da questo messaggio di impegno civile e umanitario in un costante bombardamento emotivo tale che, finiti i 30 minuti, non riesci a non parlarne con qualcuno, ti ha colpito, nel profondo, con la gioia e la sofferenza. E così si diffonde, sfruttando la bontà che hai dentro e che, ammettiamolo, vuoi un po' ostentare perché fa figo anche quella nel momento giusto. Oppure ti colpisce al punto da trovare cosa c'è dietro, altra cosa essenziale per la libertà e la democrazia del pianeta tutto. Dunque guardavo alla diffusione rapidissima di questo messaggio di grande umanità con un sorriso commosso, che, anche se il messaggio nascosto fosse di puro marketing, l'utente medio, che lo guarda e lo diffonde, lo fa perché promuove una causa giusta.

Un bel momento, ma fortunatamente è passato in fretta. Perché è stato anche subito chiaro che il diffondere il video fosse più che sufficiente per quasi chiunque vi ci sia imbattuto. Quasi nessuno si è messo, di fronte a notizie di così clamorosa crudeltà, a informarsi di più, quasi nessuno ha pensato di organizzarsi per raggiungere chi il pc non lo usa. E da qui usciamo dal solo contesto di Kony 2012. È la buona azione part time. È l'impegno civile solo nel proprio cortile e solo se non mi fa rinunciare a null'altro per compierlo. È il lavaggio periodico della coscienza, ma comunque solo per proprio interesse. È il non lottare mai e anzi vivere con fastidio la lotta altrui solo perché non ci riguarda direttamente. È il mettersi a tenere insieme il tessuto sociale di questa società per i motivi più sbagliati: quelli non dichiarati. Sono tutte queste cose che fanno male all'impegno civile, un sapone consumato da tutte queste bolle.

È un momento storico in cui dovrebbe arrivare a grandi passi una illuminata coesione delle varie parti della società per combattere l'ingiustizia, una qualunque, che sia nel mio giardino o in quello del vicino o in quello dell'amico del vicino che vota il partito sbagliato e che mi sta pure un po' sul cazzo ma che ha comunque una dannatissima ragione. Invece no, una carneficina, ognuno fa come gli pare, che palle i camionisti, che palle i pescatori, che palle i manifestanti.

Guarda, sanno solo tirare sassi.
Come? Dicevano qualcosa prima e non li ascoltavo?
Beh che importa, tirano i sassi ora.

Se c'è solidarietà o condivisione è sempre part time, per carità, mi faccio i cazzi miei anche io e capisco il valore di sapersi fare i cazzi propri, ma sono cazzi poi così importanti sempre? Così indispensabili e irripetibili? Che sia studiare o uscire con gli amici o dormire una manciata di ore in più: siamo sicuri che non si possa, qualche volta in più, rimandare un simile impegno per far qualcosa anche per gli altri. Giusto per ricevere indietro un sorriso, ma anche per non riceverlo.

E se iniziassimo, come esercizio, al posto di dire "non posso" quando una di queste occasioni di fare del bene si presenta, a usare il verbo giusto, "non voglio", non avremmo bisogno del lavaggio periodico di coscienza un po' meno spesso? O anche solo ad intraprendere una qualunque attività con l'onestà di ammettere le nostre vere motivazioni egoistiche, non ci guadagneremmo in serenità e sorrisi? Non risparmieremmo in aggressività?

Oppure, visto che è nelle piccole cose che si può migliorare il nostro impatto sul mondo, perché non cominciamo con l'eliminare una piccola cosa superflua? E poi perché non iniziamo a toglierne un'altra e un'altra ancora?

Infine, perché quando vediamo una manifestazione non andiamo a sentire cosa dice chi è lì, al freddo o al caldo, a urlare le proprie idee? Anche solo per dirgli che è un pirla, ma almeno lo si dirà a ragion veduta e non perché ve lo dice qualcuno.

Oh beh, è venuto un predicozzo, ma son convinto che la parte sui pompini vi sia piaciuta. Torno a farmi i cazzi miei. Questo è certamente il pulpito sbagliato.

"Poi un giorno vennero a prendere me: non era rimasto nessuno ad alzare la voce per difendermi"

domenica 18 marzo 2012

Di Genova, Libera, Tav e lacrime.

Ieri ero a Genova a manifestare. 10 anni e mezzo fa probabilmente non avrei potuto scriverlo perché avrei avuto le dita rotte, ma oggi posso. Posso perché ieri ero a Genova per manifestare insieme a migliaia di altri bambini, vecchi, ragazzi, meno ragazzi, tutti avvolti nell'orgia colorata delle bandiere di Libera.
Ieri era il giorno scelto per la manifestazione in occasione della giornata della memoria e dell'impegno in ricordo delle vittime delle mafie. È la diciassettesima volta che si celebra, questa volta la scelta è caduta su Genova, capoluogo di una regione che, anche lei quanto le sue confinanti e non, si sta facendo masticare dal cemento mafioso e dai loro rifiuti. La data vera è in realtà il 21 marzo, il primo giorno di primavera, ma si sceglie sempre di manifestare nel sabato più vicino e dunque si è finiti il 17, che l'anno scorso ci insegna essere il giorno in cui si festeggia l'unità d'Italia. Tuttavia mi piace pensare che questa volta un caso non sia, perché questa volta si era in 100 mila, un unico grande grido che chiede giustizia, legalità, uguaglianza, libertà. Un unico grande grido che chiede una legge sulla corruzione tra privati, che chiede di rendere il 21 marzo festa nazionale e che fa tutto ciò attraverso il ricordo di 151 anni di mafia su questo territorio, l'Italia tutta, non la Liguria soltanto, dico. Un ricordo che può e deve farsi impegno, come viene detto dal palco, un impegno vero, non fatto di parole poi svuotate dai fatti cui siamo messi ormai quotidianamente davanti, un risveglio civile nell'animo delle persone per reagire ad un'onda silenziosa e spesso impalpabile quale è la mafia.

Il corteo l'ho percorso quasi tutto, non ho completato l'opera perché era sterminato, perché venivo da ennemila ore di veglia (di cui magari vi parlo un altro giorno) e perché quando decisi di provare a tornare indietro mi han detto che la coda del corteo non era ancora partita, mentre noi eravamo quasi arrivati. Piazza della Vittoria stava per scoppiare quando sono arrivato, non riuscivo a capire dove finisse la piazza, c'erano anche i NoTav, oramai onnipresenti, tutti giovani liceali (per inquadrarli anagraficamente), allegri, con la loro musica, le loro bandiere e i loro slogan. Anche loro lottano contro la mafia, sul loro territorio e probabilmente li si trova in ogni manifestazione proprio perché hanno bisogno di essere ascoltati anche, e soprattutto direi, quando nessuno tira sassi o blocca autostrade (che è poi la stragrande maggioranza dei casi). Da dove si erano messi credo che chiudessero il corteo, ma li persi di vista poco dopo, trascinato dalle bandiere giallerosaarancioni dei vari coordinamenti e presidi provenienti da ogni angolo d'Italia, uniti da Libera. Mentre risalgo trovo intere classi di bambini che avevano preparato i loro cartelloni, il loro approfondimento su una delle oltre 900 vittime innoncenti riconosciute come vittime di mafia, trovo giovani scout, probabilmente reduci come me da uno dei campi di lavoro su qualche bene confiscato che Libera organizza in estate, trovo famiglie i cui bimbi sono avvolti nelle bandiere di Libera per proteggersi da un fresco poco primaverile, trovo bandiere della pace, trovo striscioni dei vari presidi. Questo è di Milano, poco più in là trovo Pisa, i ragazzi di Polistena non li vedo ma so che ci sono, con me nello stesso corteo, ecco laggiù il presidio di Reggio Emilia e da come parlano i ragazzi accanto a loro devono essere pugliesi. Era un'Italia schiacciata dentro Genova, come lo eravamo noi al campo di Polistena, che ancora una volta abbiam colto l'occasione per rivederci, scambiare qualche risata, abbracciarci e poi di nuovo sparpagliarci per tutta la penisola.

Ad un certo punto ritrovo il movimento No-Tav, hanno appeso qualche striscione, uno mi fa storcere un po' il naso "La vostra legalità ha quasi ucciso Luca Abba". Ora, i No-Tav nella loro lotta hanno ragione da vendere (almeno finché qualcuno dei SiTav dopo anni e anni che glielo si chiede non porti argomentazioni logiche e coerenti) e non mi dilungherò né su quanto abbiano ragione né su quanto mi sia dispiaciuto per Luca Abba e per quanto gli è successo in quanto sono cose che non dovrebbero mai accadere. Tuttavia alla base di ogni traliccio dell'alta tensione c'è scritto "Pericolo di Morte", non "pericolo di morte se ti inseguono i rocciatori" e dunque uno che ci sale sa che incontrerà qualche legge che proverà ad ucciderlo. Quelle dell'elettromagnetismo, datate 1873, di cui un po' tutti dovrebbero sentire parlare. Oh beh, mi son dilungato su uno striscione quando in realtà volevo giusto dire che era bello sapere Caselli e i No-Tav nello stesso corteo, per la stessa causa.

Si arriva dunque di fianco all'acquario, il corteo finirà lì, sotto ad un palco. Salgono i famigliari delle vittime che siamo lì a ricordare. Comincia un elenco, angosciante, un nome dopo l'altro, un brivido freddo dopo l'altro. Una chitarra acustica arpeggia qualche nota, poi parte qualche timido violino. E i nomi si susseguono, a gruppi di 10, non di più, spesso hanno anche tutti lo stesso cognome. Me ne sto a fissare il mare in quel momento che a guardare la folla non ce la faccio. Hanno tutti lo sguardo che spera che a nessuna delle persone sul palco si spezzi la voce dall'emozione mentre legge perché in quel momento nessuno avrebbe trattenuto le lacrime. Quindi guardavo il mare, ascoltavo i nomi, ne conoscevo pochi e come me anche molti altri, ad ogni gruppo di nomi partiva un applauso, commosso, di chi trattiene le lacrime. E guardavo il mare, ascoltavo i nomi e il rumore delle corde prodotto dalle navi che ondeggiavano. E pensavo "ti prego fa che non si spezzi loro la voce, non lo reggerei". Periodicamente arrivava anche il borbottio della nave della guardia costiera. Gli applausi partivano a ritmo regolare. Poi ad un certo punto mi giro e vedo passare Don Gallo, per lui l'applauso è molto localizzato e magnificamente anarchico. I nomi finiscono, l'applauso non finisce più. A nessuno dei famigliari, anche leggendo i nomi dei loro cari in quell'elenco di memoria e orrore, si è incrinata la voce, nemmeno per un secondo. E la piazza non piange, non che se ne vergogni, anzi, ma credo volesse seguire l'esempio della loro forza e ricordare quelle vittime con forza, non che le lacrime siano debolezza, ma non sarebbe stata la stessa forza di quei famigliari, ora un po' famigliari di tutti.

La giornata prosegue arrampicandosi per i vicoli di Genova, fino ad una piazzetta dove c'è un centro sociale o qualcosa del genere. Mangio con poco e guardo i bambini che giocano coi ragazzi di quel centro sociale. Penso che se c'è un paradiso sia Genova il posto da dove si prende la nave. Esce anche un sole a squarciare quelle nubi che ci hanno accompagnato tutta la mattina, la stanchezza mi ha regalato quelle risate come ultimo ricordo di una giornata splendida. Per il resto ricordo solo un gran bisogno di trovare un posto per dormire.