venerdì 21 settembre 2012

Racconto d'autunno

Quanto può essere banale cominciare con una foglia che cade, artritica, da un albero? Ma era proprio quello che si vedeva, andava roteando in una discesa non uniforme, con capriole che la facevano accelerare e poi fermare a mezz'aria. L'albero da cui veniva era ormai troppo spoglio per proteggerla ancora, dunque piccole secchiate di gocce finissime finivano per appesantirla, facendola vibrare fino ad appiccicarsi al terreno, morta, per sempre.

L'ombrello era abbastanza grande da ricoprire tutti e due, ma dovevano star stretti, come pinguini, per proteggersi dagli schiaffi bagnati del vento. La pioggia fine li circondava tutt'intorno, glaciale, penetrante, di quelle pioggie che prendi senza proteggerti, non aggressive, ma che alla fine ti sono arrivate fino alle ossa. Stretti, uniti, cercando di arrotolare una sigaretta che andava via via svuotandosi, portata via dal vento.

Le automobili passavano poco più in là, in fila, ordinate, lente. La benzina ormai saliva di qualche centesimo ogni mese, ma nessuno rinunciava a passare quelle ore della loro giornata incolonnati, ordinati, nervosi, lenti. Persone che per dormire di più al mattino andavano di corsa, in modo da stancarsi e dover dormire di più: il riassunto della futilità. Ormai da tempo ci si era convinti che quelle carrozze a scoppio fossero indispensabili. Non importa che fossero lente, costose e stressanti, non se ne poteva fare a meno. Tossicodipendenza da spesa immotivata ed inefficiente.

Incendiare quelle sigarette dava qualche sfrigolio in più del solito, qualche goccia doveva averli in qualche modo raggiunti. Se ne stavano in silenzio ad osservare il verde che moriva per rinascere giallo, marrone e rosso, colori caldi per una stagione fredda. La pioggia suonava per loro e loro erano ben contenti di essere gli unici spettatori e, silenziosi, si scambiavano grandi pensieri con sorrisi appena accennati.

Rumori in lontananza di qualche treno carico di lavoratori, pronti ad affrontare un'altra giornata di fatiche. C'era chi faticava per comprarsi da mangiare, chi per dei nuovi vestiti, chi per fare un bel regalo alla fidanzata che gli anniversari sono il giorno in cui ci si dimostra l'amore vero, chi voleva un telefono nuovo da accarezzare che il vecchio era tutto pieno di ditate, chi invece lo faceva per pagarsi la benzina da bruciare dentro la sua carrozza a scoppio, ordinato ed in fila come tutti gli altri, ma almeno fuori da quel mucchio.

Loro invece erano fermi, erano lì solo per respirarsi un po' addosso, per produrre colonne di fumo allungate dal vento. Erano lì per compiacersi. Compiacersi davanti a tutti quelli troppo indaffarati per guardare l'autunno, compiacersi davanti ad un autunno che era venuto apposta per segnalare al mondo che le cose devono finire e dunque morire, compiacersi di qualcosa che stava nascendo, in autunno.

Un ottimismo immotivato, silenzioso, a tratti smielato, banale e irrazionale. Un ottimismo strano, bello, limpido.

Una foglia si stacca dal ramo, ha resistito più delle altre ma ora vuole, come le altre, fare le capriole, buttarsi giù sbattendo le ali, facendo finta di volare. Dall'altro lato della strada un ragazzo prende la pioggia e un altro gli si avvicina, offriva solidarietà.

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