venerdì 9 gennaio 2015

Matite

Ho aspettato qualche giorno, la fortuna di non esser un giornalista o un politico è che si ha la possibilità di riflettere prima di parlare senza che nessuno te lo venga a rinfacciare. Gli avvenimenti di Parigi son agghiaccianti, un assalto folle che ha risvegliato paure, indignazioni e, di conseguenza, violenza. La propensione a parlare di guerra ha la sua prevedibilità, cionondimeno è raggelante tanto quanto gli spari dentro e fuori la redazione di Charlie Hebdo. In un clima simile, mi son limitato ad osservare, ad osservarci, e proverei ora a dar qualche spunto di riflessione. Tralascio ogni commento su leader di partito da singola cifra o anche meno, perchè è ovvio che finiranno a cavalcare le onde di sangue e parlarne darà loro solo la tavola da surf. E Charlie don't surf.

I primi che saltano all'occhio sono quelli che invocano la pena di morte (alcuni, guarda l'ironia, parlano di decapitazione pubblica, credo che l'Isis stia raccogliendo i curriculum), tra essi anche persone non comuni, che dovrebbero quindi prestare molta più attenzione a quello che dicono, come Marie Le Pen. Altri, più moderati, si son limitati a crogiolarsi nella fantasia di poter torturare i folli autori di questo massacro, ad esempio strappando la pelle dalle loro carni, spargendoci sale e lasciare che gli avvoltoi facessero il resto. Son contento che esista facebook, perché tutte queste cose posso leggerle insieme al vostro nome, sapendo bene dove abitate, vedendo le vostre foto con cuccioli di beagle che un giorno probabilmente sodomizzerete dopo aver aperto la testa al nipote della vostra compagna accanto a voi ed averci cagato dentro. Sono contento di poterli identificare con quasi certezza, così so di dover cambiare strada se li incrocio e so di non dover mai e poi mai prendere un aereo con loro. A queste persone manca solo un fucile per aprire il fuoco sui vignettisti di domani.

Poi ci son i #JeSuisCharlie, curiosamente alcuni sono Charlie E si sanno inventare modi creativi per far soffrire i terroristi una volta catturati. Che poi, ripensandoci, pensate veramente che la minaccia della morte o della sofferenza possa essere un qualche deterrente per folli assassini? Comunque, torno al popolo degli hashtag. Lo so, si dice per solidarietà, siamo Berlinesi, siamo Newyorkesi, siamo Norvegesi, siamo Londinesi, siamo Giapponesi e ora siamo Charlie (ma non lo dite troppo ad alta voce agli americani). Ma, contrariamente agli altri casi e alle altre tragedie, questo essere Charlie è meno appropriato.

Non siete Charlie, nessuno di voi lo è e smettete di offenderli. Non siete per la libera irriverenza verso qualunque cosa, soprattutto la religione e soprattutto in Italia. Molti di voi han impiegato un considerevole numero di ore di veglia per dedicarsi al sistematico, a suo modo violento, attacco verso quel tipo di satira. E se non vi siete ancora riconosciuti, basta sostituire Dio con Pino Daniele. Voi, come chi scrive, in buona approssimazione non sapete un cazzo di quel giornale e non ne condividete la propensione al disrispetto. È rivoltante vedere persone che sono state, o che saranno di nuovo, tanto violente nel difendere cose inutili per loro e per l'uomo invisibile che venerano, come il crocifissio in un'aula scolastica, cucirsi addosso la veste del vignettista caduto per onorare il ruolo del satiro e cullarsi nell'autocompiacimento per la propria mai dimostrata sensibilità. È vero, preferisco questo tipo di violenza alle pallottole perché tra il vostro fondamentalismo e il vignettista crivellato non c'è solo un fucile, vi serve anche lo squilibrato. Tuttavia, prima o poi, lo squilibrato arriva e uccide 77 ragazzi in Norvegia.

Arrivo così all'ultima riflessione: la sfiga del mondo è stata che gli attentatori erano musulmani. Un'immagine che si è incastonata così bene nel mosaico che abbiamo contribuito a costruire che ci ha impedito di guardare a noi stessi, che ci ha spinto un pochino di più verso l'intolleranza, verso il livello degli attentatori. Perché il problema è la religione per come viene vissuta. Io, l'avrete capito, non sono religioso, non ho quel bisogno di rivolgermi a qualcosa di onnipotente e dentro di me non capisco come nessuno si sia ancora accorto che nessuna preghiera sia mai stata ascoltata. Tuttavia non ho nessun pensiero se qualcuno vuole esprimere tale bisogno. Inizio a diventare ostile se quel bisogno inizia a diventare legge e intolleranza. La religione deve essere un fatto privato, altrimenti la difesa della stessa diventa solo una diversa sfumatura di fondamentalismo, diventa una diversa sfumatura della stessa violenza. Il mosaico che fissiamo mentre intorno a noi sgozziamo i bebé, ci farà parlare di cose pittoresche come il crocifisso, il presepe e tutte quelle cose insignificanti se rapportate all'essere onnipotente che credete di difendere. Non ci farà parlare, per esempio, delle coppie omosessuali che vorrebbero non doversi andare a cercare i diritti altrove, non ci fan parlare dell'adolescente gay che viene picchiato dai buoni cristiani della sua classe e che passa il tempo a sentirsi dire che Dio, in cui magari crede, lo manderà all'inferno per il suo amore e questo lo porta al suicidio. Sono solo due esempi di diverse sfumarure della stessa violenza che crivella i vignettisti. Una violenza perpetrata senza bisogno di essere pazzi e senza venir mai identificata come tale. E questo, vaffanculo, fa più paura di tutto.

Se c'è, come voi dite, un Dio nell' infinito, guardatevi nel cuore, l' avete già tradito