venerdì 30 agosto 2013

Cronaca di un viaggio qualunque

In una spinta di fine agosto, solitario in questi 12 metri quadri così ben assortiti, stanco, in attesa che il bagno si liberi, facciamo finta di usare questo blog come uso la carta.

Un altro quadernetto, l'ennesimo, che finirà incompleto. 
Una sfida nuova, forse la più grande. 
Il passato fuori dal finestrino, il futuro attraverso una cabina.

Tempo di percorrenza: 32 minuti. L'autostrada sfreccia calma ai miei lati.

Tempo di percorrenza: 18 minuti. Le montagne iniziano ad intravedersi, finalmente spezzando questa piattezza esasperante, ma si prosegue dritto, sempre dritto.

Tempo di percorrenza: 4 minuti. Minuti inevitabili. Freccia. Qualche svincolo, parcheggio e poi via coi miei 30 kg di orpello.

In aeroporto gli aerei li vedi solo fermi al sole, fumo l'ultima sigaretta con due spagnole, loro tornano a casa, non so dove. Io la casa la sto lasciando, fumo due nervose volte. In sala d'attesa c'è la famiglia olandese dai figli numerosi e piccoli, biondissimi, che torna dal caldo mare. Un'altra famiglia viaggia in canottiera e scarponi da montagna. Poi c'è tutta la fauna degli scappati di casa, quelli che partono per qualche mese, quelli che non torneranno, è il nostro aereo. Occhi incerti, felici, ma incerti. Molto vestiti per stare nei limiti di peso fascisti.

Altoparlante che non ascolto.
Calma, tranquilla, contenuta eccitazione.

Si prega di spegnere gli apparecchi elettronici.

La Lombardia dall'alto ha tutto un suo fascino, una ragnatela dagli spessi fili di case che nascondono le strade. Poi il tappeto di nuvole, come lava bianca solidificata che tutto ha ricoperto, a tratti spaccata rivelare i resti di una civiltà già lontana, una moderna gigantesca Pompei. Non voglio dormire, mai. Le Alpi, da vecchie amiche quali sono, irrompono da sotto il tappeto prepotenti e fiere, un maestoso saluto.

L'occhio si fa pesante, il posto stretto mi culla, la tasca della giacca è appesantita dalla mancanza del biglietto di ritorno.

L'aria olandese è fresca, forse solo pulita, ho 40 minuti di pullman davanti a me, dalla periferia alla città. Prati verdi spezzati solo da ampi laghi, animali, un susseguirsi di case col giardino davanti, magari anche la staccionata, col mattone a vista e la porta verde. Oppure bianchissime come chiese protestanti. Tutte affiancate, talvolta pure uguali tra loro, strette, con un tetto altissimo tanto spiovente da sembrare una distesa di cappelli a punta. Più che spiovente, stemporalmente (dovevo dirla, non potevo evitarla). Superiamo biciclette, auto lente, mucche ed infine un canale. Cambia leggermente lo scenario, i tetti si appiattiscono, le strade si fanno più ampie, non per le auto, per i pedoni e le bici. Siamo in periferia, quella con gli uffici, le fabbriche, la routine. Parcheggi di biciclette nascondono i prati sullo sfondo, ponti mobili ci separano dalla città, mai caotica. Sono tutti in giro, godendosi il tiepido sole delle 5, han finito tutti di lavorare un'ora fa. Un cieco attraversa la strada, il pullman si ferma in tempo e lo affianca. L'autista sta chiedendo al cieco se stesse andando alla fermata, mancavano una cinquantina di metri, ma l'ha fatto, tanto non genera traffico. 

Ora son qui, indeciso su quanto aspettare prima di usare quel cubicolo senza finestre che chiamano bagno, giusto per non avere due spettatori delle mie funzioni corporali più profonde, dopo il kebab nella parte male della città. Oddio, è pur sempre il quartiere dei fiori e sono in via dei giacinti, ma c'era del losco, del tenebroso e soprattutto del buon piccante. La torbida confessione è che magari scrivo le cose sul quadernetto, con la sigaretta che affumica la scrivania, un bicchiere di lato, eccetera, ma il più delle volte la pubblicazione, l'ultimo passo tra me e voi, avviene sulla tazza del cesso. Qui non posso, non ci sta il portatile al cesso. Un incubo.

Fortunatamente il sole è sceso dietro le case alle 22 sta volta, sono stanco e mi sento molto lontano da casa, in una stanza che non è mia con persone dal nome incomprensibile che ascoltano la mia cacca. Domani girerò, si, mi perderò spontaneamente, per non fermarmi, perché a fermarsi ci si ricorda quanto si è lasciato controvoglia. I giornali online ti ricordano quanto sei felice di aver lasciato tutto, ma il resto rimarrà controvoglia, sospeso in un limbo in attesa di una nuova definizione. 

Coffeeshop.

martedì 27 agosto 2013

Notturno

A volte mi chiedo da dove venga il vento. Poi me lo ricordo e tutta la poesia sparisce, o meglio: muta. Passo a ragionare a come ci si possa sentire in quell'unico punto del pianeta dove il vento non c'è, è nullo. Perché so che esiste, in ogni istante, un punto senza vento ed è pure ragionevole pensare che non sia mai lo stesso, per lo meno in intervalli di tempo non troppo lunghi. Ma allora che si prova a veder quel punto, privo di forze, spostarsi? Che rumore farà? Probabilmente quello del vento, ma cosa cambierebbe? Sarei in grado di riconoscere il momento in cui quel punto passerà sopra di me? Saprei dire quanto è probabile che questo accada almeno una volta a generazione? Probabilmente più di quanto possa supporre. Sarei davvero in grado di riconoscere il momento in cui tutta l'aria del mondo mi viene incontro (o scappa via) in ogni direzione? Certo, domande irrilevanti, ma in fondo odio non essere a dimensione nulla per questo, perché a quel punto non sarebbero più irrilevanti, perché quell'anarchico punto senza vento del pianeta, solitario ed ostinato, sarei potuto essere io.

La serata è fresca dopo l'uragano, rende più piacevole incendiare il tabacco, fa formare nuvole più chiare ed ampie. Sarà un inferno apatico, sto posto dico, ma dopo una certa ora, se riesci ad ignorare le strutture umane, regala solo suoni da natura incontaminata: qualche goccia riecheggia nel parcheggio dopo aver piegato una foglia, altre si spengono silenziose nei prati. Qualche pipistrello ricomincia il suo lavoro di sentinella contro le zanzare, almeno credo, sono silenziosi, ma le ali nervose non passano mai inosservate. Prendo il violino. Ho sotto di me pochi metri, ma abbastanza per farmi male se sbaglio qualcosa. Solitamente sto ben aggrappato, lasciando le gambe penzolare, ma ho il violino, mi dovrò affidare all'equilibrio.

Riempio il silenzio con note basse, vibrano tra i palazzi, si smorzano tra le foglie e si perdono verso la provinciale illuminata. Chissà se è davvero una provinciale poi, ma che importa ormai. Alzo le frequenze, la velocità, l'intensità, sovrasto tutto, le dita scorrono veloci, saltellano da una corda all'altra, imitano le ali di quel pipistrello, è una gara. Nessuno sta sentendo, nessuno ascolta mai, nessuno si rammaricherà di qualche nota presa con troppa leggerezza. Il vento asseconda le frequenze, le porta lontano, le distorce, gli alberi si piegano sotto le note, qualche goccia comincia a scivolare dal tetto.

Tuono. Senza lampo.

Si scatena di nuovo, con rabbia crescente, arriva da dietro la casa: sono al sicuro da tutto. Vedo bordate d'acqua sfrecciare ai miei lati, quasi orizzontali. Gli alberi sbattono contro le pareti come a volersi vendicare dello spazio rubato, secondo me l'ululare del vento è un FA. Loro sbattono, a tempo, è un 12/8, il tempo giusto! L'orchestra di fiati ce l'ho, le percussioni pure, è il mio momento. 27 note, una in fila all'altra, ripetute, addomesticate, decorate, ma sempre quelle 27. Si, funziona, nessuno sta ascoltando e tutto sta funzionando, anche se manca qualcosa.

Il vento gira, devo saltare, possibilmente dentro, potrei anche metterle su un pentagramma. Ecco si, se solo trovassi anche la matita...

Lampo. Senza tuono.

Il vento è fuggito lasciando solo della bagnata frescura. Finisco la sigaretta, come brucia bene. Attimi persi, come la volta che sono stato nel punto senza vento, svaniti come le 27 note e le successive mancanti.

Pettinare palle pelose.

sabato 24 agosto 2013

Farewell

È un po' che la meno con sta storia che sto partendo e, nella ritrovata spinta scrivente, ho deciso di sporcarvi lo schermo di rosso, grigino e nero ancora una volta. Lascio prima un po' sfrigolare la sigaretta da sola, che magari quell'unico, solitario, necessario cubetto di ghiaccio nel whiskey compie il suo destino. Sistemare la musica prima di partire mi ha fatto quasi completare la compilation blues che da anni ho in cantiere. Oddio, mancano ancora 5 o 6 pezzi e non sono sicuro dell'ordine, ma mi piace raccontarmi di non essere ancora a 3 anni dalla conclusione. Però mi ha fatto notare che, per uno che ascolta fin troppo fedelmente solo musica prodotta prima dell'85, il duemila pare abbia segnato un ritorno in gran carriera del blues. Non tutto il male vien per nuocere, ma magari studio ancora un po' prima di infilarmi in un post musicale, di nuovo. Poi mi becco del radical chic, di nuovo. Che poi son solo il solito pirla, come sempre.

L'estate è arrivata tardi, ha ruggito violenta e pare essersi spenta in un soffio di polvere e turisti di rientro. Mi mancano pochi giorni, ho quasi risolto ogni problema immediato, devo giusto capire come far stare buona parte della mia vita in 20 kg e la cosa deprimente è che molto probabilmente ci riuscirò, se non altro per un obbligo imposto da logiche ignare di qualunque principio della teoria degli errori.

Mi è capitato di partire, nella vita dico, alle volte anche proprio per non tornare, tipo quando mi han strappato via da Milano per quell'inferno apatico chiamato Brianza. Quasi sempre però son partito ben consapevole di quando e come sarei tornato. Giusto una volta questo pensiero non mi sfiorò nemmeno, la grande fuga del 2009. Quattro amici, una macchina piena di cose poco usate, una tenda, un'Italia da girare, da costa a costa, nessuna tabella di marcia, che tanto anche a farla non resisteva più di mezza giornata. Quella volta lì si scappava tutti da qualcosa, chi dal vuoto, chi dall'instabilità, chi dalla troppa stabilità, chi dai propri errori, chi da una combinazione delle precedenti e chi non ha neanche mai detto il perché. Però sapevo che prima o poi saremmo tornati, che i soldi sarebbero finiti, che era un giro dell'Italia e dunque, per definizione, dal punto di partenza ci doveva pur passare. In quel viaggio forse ognuno di noi cambiò, seppellire un cadavere non è cosa di tutti i giorni se poi non ci girano sopra un horror scadente e in fondo in 5 in auto non ci si stava. No, non fu quel tipo di viaggio, ma fu un viaggio che ci unì, in maniera strana, quell'unione che non ha bisogno della vicinanza per resistere. In fondo uno è già andato da un po', io lo sto in un certo senso raggiungendo, l'altro ci sta pensando e l'ultimo chi lo sa. Tuttavia da quella fuga ho sempre avuto la sensazione forse ingenua che lo scorrere del tempo non possa allontanare il ricordo di quei 4, più magri, meno istruiti e con più capelli, che hanno rotolato per l'Italia e sono quasi morti uscendo dall'autostrada, o almeno così ci piace ricordare.

Quella macchina è la stessa che portò due di noi, in un infinito viaggio senza grandi soste, fino in Calabria per fare un campo di volontariato di Libera. Anche quella fu una fuga per noi, sebbene si rivelò poi qualcosa di più profondo e duraturo, abbastanza da non poter essere contenuta in un paragrafo di un post (soprattutto perché ne ha già uno tutto suo), la scoperta di una nuova famiglia. Una fuga che riprese a fine campo, in salita sulla Salerno-Reggio Calabria, con troppo sonno sulle palpebre e troppi pensieri nella testa. Al punto che alla fine ci si fermò a galleggiare in cerchio come i vecchi nel basso Lazio, con la tenda, la stessa, piantata con solo un terzo dei picchetti perché posta su una buona approssimazione di ciò che definirei cemento. Un ritorno che durò ancora qualche giorno, ne avevamo bisogno. Un ritorno fatto in folle, perché quell'altro idiota era partito praticamente senza soldi e avevamo fatto l'ultimo pieno prima di Perugia. Ma, anche lì, tornammo. Tornammo e per me cominciò una grande esperienza, ora soffocata da troppi mesi di tesi, lavoro, preparazione, con Libera. Qui, in Brianza. Quante cose sono successe solo perché ho passato 7 giorni in una scuola elementare in Calabria con altri 35 amici.

Ma ora è diverso, il biglietto è di sola andata e io non sto scappando, se non da un sistema e una società che non mi hanno voluto. Ma per una volta voglio fare solo il sentimentalone, non parlerò dei perché, li sapete, sono quelli di tutti gli altri. Ne ho una paura fottuta, di quel "sola andata" cliccato di corsa per non pensarci troppo. Ne ho paura perché qui sto lasciando veramente tutto, dalle esperienze fatte a quelle linee d'universo più o meno volontariamente non percorse e, per quanto sia consapevole che semplicemente se ne stanno spiegando altre davanti a me, non posso non pensare che quelle stiano svanendo: per quanto mi possa impegnare ad accumularle fra 7 giorni saranno esperienze ormai svanite via. Poi ci sono le cose molto importanti, che rimangono anche se io vado proprio per la loro importanza e per tale importanza non meritano di essere scritte qui.

È tuttavia inutile negare che però mi mancheranno anche cose che potrebbero sembrare più stupide. Tipo Radio Popolare mi mancherà, sono quasi 20 anni che la sento e non poter più mettere sul 107.6 mi mancherà. Tra l'altro la fuga del 2009 di cui sopra venne proprio concepita di ritorno dagli studi gialli di via Ollearo, nel traffico della circonvallazione alle 18, dopo Mentelocale. Mi mancherà nonostante possa sentirla ancora in streaming, mi sentirò sempre un po' in ritardo e di certo se c'è qualche iniziativa non ci potrò andare con troppa facilità. Certo è che sto andando via proprio per avere uno stipendio, quindi potrò finalmente abbonarmi con soldi miei, dopo tanti anni.
Tipo il Libra, il pub più a Berlino della Lombardia (o qualcosa del genere), mi mancherà, perché è difficile immaginare un altro posto che mi faccia sentire a casa dal primo giorno (e se non ti ci senti, a casa dico, c'hai dei problemi di vita). Perché la famosa fuga del 2009 sarà stata concepita in auto ma pianificata, per quanto inutilmente, al sole di un lampione proprio lì davanti, perché è stato luogo di incontri importanti, scontri dolorosi, playlist composte da pezzi dei Clash o dei Ramones, angurie ricolme di vodka, chupiti, abbracci, ghiaccioli, serate al bancone, scrittura della tesi, amicizie coltivate e amicizie anche solo abbozzate. Due esempi di quotidiano che mi lascio alle spalle e che, come mille altre cose, non avrò più, non nel quotidiano. Ecco, questo fa paura nell'andare via, soprattutto senza sapere se e quando si tornerà (oltre che come turista, intendo).

Si, non ho parlato delle persone (a ben vedere si, ma non abbastanza), però in fondo ho pensato che quelle che val la pena vedere le posso vedere un po' in qualunque posto del mondo, tanto meglio se non è un posto dove sto peggio. Eppoi, che cazzo, mi sto fabiovolizzando troppo in questi post, mica mi posso addentrare in sto discorso. Suvvia.

Quindi gnente, mi mancherà l'Italia, nonostante l'Italia e il suo costante impegno a non farsi rimpiangere.

La sigaretta non sfrigola più e non è la stessa di prima, il bicchiere è vuoto, la compilation prosegue nel suo riempire la notte, in 20 kg non ci starà mai tutto, perché non tutto si può lasciare a casa, anche se sta smettendo di essere casa.
Farewell, non pensarci e perdonami se ti ho portato via un poco d'estate
con qualcosa di fragile come le storie passate

Bigodino.

venerdì 23 agosto 2013

Raddrizzare la rotta

Non troppo tempo fa scrivevo di aridità e mi ripromettevo di parlarvi di ciò che probabilmente l'aveva causata: il mio lavoro da stagista. Vi dirò, l'esperienza è stata tanto svilente, tanto frustrante, che anche solo l'idea di spendere parole su parole di quanto sia malato un sistema che ritiene fortunato (perché alle volte questo mi hanno detto, che ero anche fortunato) uno che percepisce un euro e quaranta l'ora per otto ore al giorno, mi ributta in un mood depressivo da rendere necessaria una pausa prima di continuare a scrivere questo post. È un'esperienza finita, che farò di tutto per non dimenticare così che non capiti mai più. Tipo il fascismo.

Quindi ho pensato che il modo migliore per allontanarla potrebbe essere parlare di quell'unica cosa che faccio con costanza più o meno manifesta da 12 anni: la fisica. Forse ci potrei mettere giorni a scrivere questo post, forse lo spezzetterò pure, ma è un post di dialogo verso quel fisico che ho perso per strada nei mesi successivi alla laurea e verrà pubblicato senza mai venir corretto. È forse il post più difficile che potessi cominciare e sapere che verrà letto per lo più da fisici (salvo strani flussi di visita) mi mette anche una qual certa ansia da prestazione, anche un po' di timidezza perché alle volte chiedere ad un fisico di parlare di fisica può essere il modo più violento di metterlo a nudo. E allora violenza sia, sto per iniziare (2 settimane) un percorso che vorrei mi portasse a fare quello nella vita, questo potrebbe essere un modo per ricordarmi com'ero quando ho iniziato.

Ho cominciato a far fisica, intesa come passione prima ancora che come percorso universitario, perché ho avuto al liceo un professore che sapeva trasmettere quella passione. Un passione che invidiavo, che volevo mia. Così mi sono avvicinato, piano piano, con scivoloni anche evidenti ma senza mai avere dubbi, a questo mondo di equazioni, di cose oscillanti, di ricerca dell'eleganza. Perché una cosa che si impara ben presto, ma non si finisce mai di apprezzare fino in fondo (non ancora per lo meno), è questa tendenza che sembra avere la natura nel rendersi più semplice man mano che si allarga l'orizzonte dei fenomeni che analizziamo. La selva di equazioni si riduce ben presto a pochi principi, da cui tutto deriva seguendo linee logiche, sollevandomi dall'onere di dover ricordare a memoria quell'infinità di leggi che uno può trovare ad un primo studio. Anche questo è eleganza. Certo, alle volte ti tocca dover affrontare pagine e pagine di sudore e fatica per ottenere un risultato, ma è anche vero che un po' per pigrizia, un po' per, appunto, eleganza della natura, capita spesso che il lavoro noioso vada fatto una sola volta nella vita. Sono i famosi conti che danno risultati ultra noti, ma che bisogna fare almeno una volta nella vita per vedere veramente in prima persona dove l'eleganza e la simmetria ci semplificano la vita e in un certo senso determinano la natura.

La fisica per me è stata anche il mezzo che mi ha permesso di lasciare il nido, di cominciare un periodo della mia vita in cui posso vivere con le mie sole forze, andarmene di casa, andarmene dall'Italia e iniziare a vedere il mondo un po' meglio di come lo vede un turista. Perché c'è anche quello, oltre al perpetuo interrogarsi su cosa faccia muovere le cose, ogni pagina scarabocchiata è servita anche a diventare più indipendente, libero e, visto come gira il mondo della ricerca, condannato a cambiare dai 3 ai 5 Stati nei prossimi 15 anni.

Arte dell'approssimazione, tutto è un'approssimazione di qualcosa di più raffinato, ogni equazione, ogni soluzione, ha un intervallo di validità, un limite a cui tendere, dei termini da ignorare perché le cose non si complichino troppo. Potrebbe così sembrare un gioco quasi filosofico, ma è qui che avviene il miracolo (che poi di sovrannaturale non ha niente): funziona, nel suo non funzionare mai, funziona. Ecco, aggiro il mal di testa che potrebbe venire ragionando troppo su questo pensando che in questo ci sia tutta la bellezza e ci ricorda qualcosa di molto importante: la vita di tutti i giorni è governata da leggi fisiche che non sono che una flebile ombra di qualcosa di più grande, semplice ed elegante, qualcosa che piano piano si cerca di smascherare, ma che per definizione ci rifugge. Ebbene, questo ci ricorda in ogni momento quanto siamo insignificanti, quanto piccolo sia il nostro spazio nell'universo e, per quanto mi riguarda, anche quante volte diamo troppa importanza a ciò che accade.

È anche frustrante, ah se lo è. Trovarsi davanti a lavori altrui dopo anni (non tanti, ma comunque anni) che si fa quello, che si prendono briciole di comprensione dal duro lavoro e non capire, non sapere da che parte cominciare. Rifare gli stessi conti ancora ed ancora senza trovare l'errore, ribaltare il problema, mettere in dubbio ogni cosa. Non è facile, è la parte demotivante, ma in un certo senso anche quello che mi ha fatto crescere di più. Saper che un lavoro possa finire nel nulla non è certo il miglior incentivo, non per me per lo meno, ma saperlo accettare è ciò che ti rende in un certo senso senza paura, ti insegna a metterti in gioco, a metterti in discussione. Spaventa, questo è vero, mi sento spesso come se da un momento all'altro saltasse fuori qualcosa che possa dimostrare inequivocabilmente che la strada che ho preso non è quella giusta, che avrei dovuto fare altro.

Già, fare altro, ma cosa? Sono un fisico, mi sento un fisico, voglio sentirmi un fisico e non saranno certo dei titoli accademici a darmi sicurezza e no, probabilmente non ho un piano B. Spero solo che le varie lezioni che ho imparato, il metodo di lavoro, lo spirito di sacrificio, possano poi tornarmi utili qualunque sia questo piano B. Ma visto che per il prossimo futuro il piano A sta reggendo, meglio spendere qualche parola in più (e magari anche qualche frase fatta in meno, visto quel che ho scritto fin qui).

Mi troverò a lavorare per i prossimi 4 anni in un gruppo di ricerca che vuole trovare un modo di quantizzare la gravità. Mi spiego meglio, si vuole trovare una descrizione dell'interazione gravitazionale che preveda che questa sia trasportata da particelle (i gravitoni) in maniera discreta, non continua (vogliano perdonarmi tutti i fisici alla lettura). Perché dovremmo voler fare questo? Perché per le altre 3 interazioni fondamentali (elettromagnetica, nucleare forte e nucleare debole) questa descrizione sembra essere la più adatta per i fenomeni che possiamo osservare ed è brutto che la gravità si comporti in maniera differente. L'uomo della strada potrebbe anche chiedersi che gliene frega a lui di tutto ciò e probabilmente per il prossimo secolo potrebbe anche avere buone ragioni per chiederselo. Bisogna però ricordare che il Novecento è stato un secolo di sviluppo tecnologico pazzesco anche (e volendo potremmo dire soprattutto) perché si è riusciti a comprendere più a fondo i meccanismi che governano la natura da un punto di vista sempre più elementare. Questa comprensione sempre più profonda ha successivamente portato a grandi idee che col tempo ci hanno permesso di mandare messaggi in ogni pare del mondo accarezzando un telefono grande come il palmo della nostra mano (tanto per dirne una). Ebbene, provate a pensare che gigantesca distesa di possibilità si potrebbe aprire davanti a noi se potessimo sfruttare un'altra interazione (quella mancante per quanto ne sappiamo) che coinvolge qualunque corpo dotato di massa e che avviene in maniera del tutto spontanea. Non ci si riuscirà certo nei 4 anni di cui sopra, ma è stimolante sapermi parte, per quanto ultima ruota del carro, di una ricerca che va avanti frenetica da decenni.

Come dicevo, ho un po' perso per strada il fisico che mi sentivo di essere, forse è solo stanchezza, forse è mancanza di stimoli non avendo nemmeno incominciato, però ora mi accorgo di non aver messo in questo post nemmeno un decimo del fuoco che mi brucia dentro, nemmeno un decimo di quella passione che sento. Credo anche di sapere il motivo, che poi non è altro che la spiegazione dell'espressione perso per strada. È tanto che non mi sposto da un posto ad un altro con un foglio spiegazzato ed una penna in tasca, è tanto che non fisso il vuoto, è tanto che non mi dimentico di pranzare perché sto finendo qualcosa, è tanto che non rinuncio ad un numero eccessivo di ore di sonno per approfondire quel qualcosa, è tanto che non vado a letto così concentrato su un argomento da continuare a elaborare nel sonno, è tanto che non mi sveglio di colpo per scrivere un'intuizione nitidissima che mi è venuta dormendo, è tanto che non mi sveglio la mattina dopo e mi accorgo che, come al solito, non ho risolto il problema dormendo, è tanto che non provo a riaddormentarmi che magari funziona, è tanto che non esco con gli amici e mi trovo senza nulla da dire perché mi vengono solo discorsi su, chessò, la teoria delle stringhe (badate bene, non sto dicendo che ora ho qualcosa da dire, semplicemente non posso guadagnare tempo raccontando loro cose che non sanno). Ecco, forse per un post che nelle intenzioni volesse spiegare la passione avrei dovuto cominciare elencando queste azioni, così naturali e spontanee, ora passeranno queste due settimane di riscaldamento, a casa, coi miei libri ed i miei appunti, sperando che gli ingranaggi tornino a girare in fretta, perché inizio a star male a non essere più un fisico.

Che poi è la miglior sintesi di tanti concetti tipo la passione, il non aver un piano B e tutte ste menate che vi ho proposto in questo giorno di agosto.