lunedì 11 novembre 2013

Notturno - Paris

Il post che scrivi 14 volte in 3 giorni e 14 volte parli di cose diverse. Potrebbe bastare sta cazzata per descrivere Parigi, dove il vostro affezionatissimo è relegato per quello che quasi nessuno definirebbe un lavoro vero. Una Leffe (senza sputo) ad accompagnare questo compimento della prima settimana, vecchi, disabili e minorenni all around me. Il nuovo arrivato che non si integra col gruppo che lavora due tavoli più in là facendomi sentire in colpa per non fare lo stesso. Emozioni talvolta contrastanti ma comunque sempre intense da 7 giorni.

Parigi è una città che si sa presentare, non è Brussels, Parigi è un riff di Eric Clapton, un quadro che fa da cornice al tutto, semplice, raffinata, marcia sotto. La percorro sottoterra, il mio tempo scandito dalle sirene della metro. Senzatetto ed odore di piscio separati da una manciata di scalini da scintillanti piazze infiocchetate, musei troppo intensi per farsi percepire. La percorro di notte, con le sue luci gialle a ricordarmi quanto mi piaccia Milano, la percorro con la pioggia, passo spedito, sguardo all'insù, vento che ti ricorda casa.

Mi avvolgo nel mio felpone, nel mio cappuccio, nella mia nuvola di fumo e cammino spedito pensando alla serata, ai sorrisi, alle dita che corrono sulla tastiera immaginaria di qualcosa di reale. Parigi rende difficile mettersi poi alla tastiera vera a cercar di rinchiudere in un 16:9 quello che accade. Accade in una notte, forse 3, ora cammino sulla Senna, passando dal Musée d'Orsay al Louvre, nulla che possa capire sul serio, sia chiaro, ci ho bisogno di tempo per notare le cose, per farmele trasmettere. Io son quello che al cinema si gira per vedere le espressioni delle altre persone, in un museo non posso che inebriarmi dell'entusiasmo altrui, financo invidiarlo. Certo, il migliore era quello che, beato, con una mano sulla faccia, dormiva sereno a due passi da decine di Monet, Manet e Cézanne. Tuttavia quello che mi ricordo è il saltellio entusiastico di chi vive, assapora e respira ciò che ha studiato, ciò che ha visto in foto, ciò che forse ha rappresentato dei passaggi formativi. Vibrante entusiasmo, travolto da un insieme di quadri che meriterebbero una stanza privata giusto per pensar un po' a cosa si sta vedendo e alla propria vita.

Parigi è fermarsi a mangiare fuori da un bar, godersi la jaaz band che suona lì, a due passi. Parigi è questa casualità. È scalare Montmatre evitando i turisti, farsi stendere tipo Stendhal a Firenze e poi giù, a capofitto, infilandosi nelle stradine, sotto le tende, tra vestiti usati ed antiquariato. In un ristorante che scintilla musica francese, bevi del vino, risate, italfrancegnolo ben annegato nel rosso. Ti scalda l'anima. Poi torni su, quasi non ti capaciti di quanto sia tutto vero quello che provi guardando in basso. Sorriso.

Il bar si svuota, gli altri clienti si fanno inghiottire nella notte. Io penso che a Parigi mi manchi proprio una bici. Dovrei piantarla con sti notturni, una volta mi piaceva parlar della vita di voialtri, che però ora osservo nel suo riprodursi sempre identica, col distacco di chi ha già ripetuto la cosa fino a risultare il solito vecchio trombone. Ora sto a guardarmi l'ombelico, accoccolato nel mio felpone e cappuccio, pensando a capucci che si uniscono, sirene della metro, corse nella notte e realtà.

Parigi la rivedo nei miei peli delle braccia, Parigi è piena di topi.

Palazzo del Congresso.

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