Di incapacità di scrivere, su queste pagine dico, se ne dibatte molto. L'incapacità di iniziare, l'incapacità di continuare se si perde la spinta iniziale, l'incapacità di essere la stessa persona in ogni seduta illuminata dallo schermo, affumicata dalle sigarette che dovrei accendere sul balcone, resa stanca, per lo più lenta, dal thc. Non vendono alcolici decenti in sta Nazione, ti tocca fumare e francamente non è un'esperienza così piacevole se si vuole poi imprimere qualche barlume di coerenza su uno schermo. È un mese che scrivo, è un mese che cancello tutto, un mese in cui faccio uscire la parte migliore di me in sporadici episodi non pubblici salvo poi ritrovarmi vulnerabile, senza la consueta corazza che una fila di righe piene di battute non riuscite, banalità ben vestite, un bandone rosso in cima e due grigi di lato, mi procurano solitamente. Ma forse è il momento di uscire dal vulnerabile nido e vedere se ancora questa cosa funziona, se qualcosa ancora batte, non solo sospeso in un tempo non definito, di musica nuova, musica vecchia, musica studiata in aereo.
No, non ci sarà un tema, non questa volta, non ci sarà uno scopo e nemmeno un rabbioso urlo, ci sarà quello che potrei descrivere meglio, un vuoto, una distanza con tutto ciò che sono stato che è arrivata prepotente, un water insospettabilmente alto, dei bottoni d'emergenza sulle pareti, l'assenza di un bidet, una stanza vuota, una risposta che non arriva, altre che invece arrivano. Gli spazi curvi, lo confesso, mi angosciano, se ne stanno sornioni a godersi il complicarsi della mia formulazione. La domenica spesa a mangiare zuppa in scatola, in un montante spauracchio di un passato che credevi lontano, ma che ti risveglia a pugni nello stomaco, ti rende più forte, smarrito in una deriva senza vie d'uscita.
Il mondo comincia, lento ma con frenesia, a distribuirsi intorno a te proponendosi oscuro, tu lo guardi e continui a ruotare attorno agli stessi punti. In fondo è l'orbita che fa la differenza. Iniziai a scrivere da piccolo, molto piccolo, mi piaceva scrivere i gialli, erano modi di creare mondi immaginari in cui far morire la gente, personaggi veri in storie impossibili. Con un tempo e uno spazio reale, ma banalmente impossibili. L'adolescenza porta travaglio, si sa, porta oscurità, porta successioni di eventi che determinano con violenza la persona che non diventerai negli anni successivi. O quella che diventerai. Quindi scrivi di questo, cupo, contorto, come i diari di Sara Scazzi spiattellati in prima serata, al telegiornale nazionale.
I telegiornali nazionali non li posso più vedere, ma penso stiano dicendo esattamente le stesse cose che han detto negli ultimi 10 anni. Sono anche abbastanza sicuro che se avessi in questo momento ricordi più precisi potrei anche aggiungerne altri 10. Tuttavia ci si sente molto vecchi quando i ricordi iniziano avere due cifre, di cui una è un due, soprattutto quando è la prima. Smettessimo per una volta di preoccuparci di uomini piccoli che gridano per aver l'attenzione della stanza. Suppongo ognuno sia in una certa misura quell'uomo piccolo piccolo, o che per lo meno lo abbia dentro da qualche parte, che si affanna a lasciare qualcosa nell'immaginario più o meno collettivo. Queste pagine mi sono sempre raccontato essere per me, ma forse mentivo, forse per qualcuno sono sempre.
La musica ha del sincopato ora, stupido youtube, ma potrei iniziare a farne un gran calderone che racchiuda 5 o 6 artisti, per vedere se so ancora contare le note.
Il tempo.
Non c'è spazio per quel tempo.
Ma una volta manco c'era il tempo, un modo lo si trova suvvia.
Uno ha commentato da qualche parte che queste pagine sono l'esempio di una generazione che crede di avere tutte le semplici soluzioni. Beh, ora credo di vivere in un posto che di semplici soluzioni ne ha applicata qualcuna e, con biblico rispetto, potrei rispondergli che facciadimerda, funziona, stanno bene, orrendamente bene. Ma forse non lo leggerà mai, diteglielo voi, tutti e 5.
Mescolando frammenti di quel che ho pensato e non scritto nell'arco di un mese è uscito questo, una volta volevo riuscire a scrivere cose che la gente capisse, per lo meno intuisse, eventi recenti han evidenziato che è l'occhio del lettore ad essere artefice dell'emozione, sebbene serva il terreno fertile fornito dallo scrittore.
Bisogna saper arrivare.
Trattieni il respiro, la musica rallenta, forse si è anche fermata. Non è un infarto, è un ciclone, di oscura, tetra, allegria. Ti striscia dentro, ti accorgi che il respiro non lo stai trattenendo, semplicemente non lo possiedi più.
BAM
La gioia, lo smarrimento, la lontananza, il distanziarsi. Come vedete, so elencare delle parole, ma non così tante.
Ho ritrovato un paio di miei blog che negli anni ho abbandonato, è stato un rapido ritorno al tormento giovanile, ma con lo spirito zen del laureato migrante. Fra 7 giorni ho un treno da prendere, una Nazione da cambiare, poi un'altra, poi un'altra, poi casa, che non è casa e di nuovo in giro, nella felice deriva sguazzante di questi anni 10, con l'incoscienza dentro, per aumentare il peso che ci si porta dietro e la forza con cui lo si sostiene.
Uno degli scadenti post che ho ritrovato finiva così, ve lo propongo con la canzone che stavo ascoltando quando l'ho ritrovato, come quasi sempre accade ho una memoria che associa cose non correlate tra loro. Godendoci una crisi di governo senza angoscia, con la stessa rabbia, quella dell'autunno che una volta era bello definire caldo e un gran vento scandinavo che soffia tutto intorno. Creando il tempo si srotola dello spazio. Così dicono.
Un mare di parole insomma, che toglie sempre più il valore alle stesse, che annega lo stesso concetto che ballonzola nell'aria in ste stesso, nero, cupo e assolutamente sconclusionato. Come se quel nero mare lo stia sudando per esporlo alla lettura di gente che potrei non conoscere, in una raccapricciante fuoriuscita di materiale cerebrale.Non la rileggo neanche, tanto fa schifo, ma in fondo un po' sarete anche abituati, allo schifo dico. Abbastanza abituati dall'esserne ormai quasi insesibili, ci navigate dentro, siete felici e continuate, con me, a guardare il niente.
Latta e miele.
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