La luce entra di sbieco sul tavolo, intorno a me c'è il sonno pesante, davanti la strada sopraelevata e le sue luci al sodio che fanno così tanto casa. Il porto addormentato è appena percepibile, un'ombra nella notte, una notte che non voglio perdere dormendo. Sto viaggiando da più di 60 ore ormai, se mi fermo temo di non svegliarmi e non voglio dormire, voglio vivere ogni istante.
Certo che quella strada, quando non ci sei sopra, è proprio una merda.
Genova si rivela ancora incredibile, arrampicata ed oscura, vie strette tra case altissime che sembrano appoggiarsi l'una sull'altra. Vie verniciate di poesie urbane, su ogni muro troverai un pensiero, spesso mal costruito ma comunque potente e, nell'insieme, armonioso. Genova è sporca, è la bellezza dell'immondizia, è il posto migliore dove perdersi. Ti arrampichi, prima o poi da qualche parte arrivi, da qualche parte troverai un'improvvisa apertura a quel claustrofobico labirinto di genuina oscurità.
Tanto basta ricordarsi che il mare è da quella parte.
La luce innaturale entra sempre con la stessa angolazione, non importa quanto io possa aspettare, rimbalzerà su questo foglio stropicciato e oramai mal scarabocchiato per diffondersi tenue nel resto della stanza, una stanza che è più casa di quanto mi aspettassi.
Sto vivendo da qualche mese in stanze come questa, talune possono sembrare prigioni, altre lo possono diventare, ma in ogni caso è ormai questo il mio nuovo concetto di casa, un concetto senza luogo, in balia di un vento freddo che mi spinge e prova a fermarmi allo stesso tempo. Questa volta non è riuscito a fermarmi, per quanto furibondo fosse, questa volta sono arrivato in tempo.
La città la si gira con lo sguardo per aria, ispirandosi con la luce per scegliere le vie dove infilarsi, consapevoli e speranzosi che solo così si possa apprezzare il battito di una città sempre meno oscura, sempre più propria, per una sola notte.
Ho financo ritrovato l'angolo di paradiso, tra i tanti angoli che ho ritrovato in questo viaggio che è solo a metà strada, che mi aveva accolto quel giorno con gli amici di Libera. L'ho ritrovato deserto, l'ho ritrovato pieno di gente che celebrava il sabato sera, ma rimarrà sempre pieno delle risate dei bambini di quel giorno, del mio bisogno di dormire, della mia voglia di non farlo.
Ho preso tanti treni per arrivar fin qui, alcuni in pieno volto, alcuni addormentati intorno a me, quieti, beati, come l'ombra del porto là, dietro le luci, con le sue sagome che si fan più deformate col passar del tempo.
Osservo il soffitto, la luce artificiale si fa sconfiggere dalla tenue dirompenza che proviene da levante, con l'azzurro che si mischia all'emissione del sodio fino a cancellarla, fino alla sua resa. Allungo una mano, ora posso chiudere gli occhi per un po'. Ricomincia il cammino, tortuoso, intervallato da pasti poco sani, birre, stazioni ed aeroporti. Non posso dormire sul serio quando sorrido così.
Col mal di vivere mi ci sciacquo il culo.
Certo che quella strada, quando non ci sei sopra, è proprio una merda.
Genova si rivela ancora incredibile, arrampicata ed oscura, vie strette tra case altissime che sembrano appoggiarsi l'una sull'altra. Vie verniciate di poesie urbane, su ogni muro troverai un pensiero, spesso mal costruito ma comunque potente e, nell'insieme, armonioso. Genova è sporca, è la bellezza dell'immondizia, è il posto migliore dove perdersi. Ti arrampichi, prima o poi da qualche parte arrivi, da qualche parte troverai un'improvvisa apertura a quel claustrofobico labirinto di genuina oscurità.
Tanto basta ricordarsi che il mare è da quella parte.
La luce innaturale entra sempre con la stessa angolazione, non importa quanto io possa aspettare, rimbalzerà su questo foglio stropicciato e oramai mal scarabocchiato per diffondersi tenue nel resto della stanza, una stanza che è più casa di quanto mi aspettassi.
Sto vivendo da qualche mese in stanze come questa, talune possono sembrare prigioni, altre lo possono diventare, ma in ogni caso è ormai questo il mio nuovo concetto di casa, un concetto senza luogo, in balia di un vento freddo che mi spinge e prova a fermarmi allo stesso tempo. Questa volta non è riuscito a fermarmi, per quanto furibondo fosse, questa volta sono arrivato in tempo.
La città la si gira con lo sguardo per aria, ispirandosi con la luce per scegliere le vie dove infilarsi, consapevoli e speranzosi che solo così si possa apprezzare il battito di una città sempre meno oscura, sempre più propria, per una sola notte.
Ho financo ritrovato l'angolo di paradiso, tra i tanti angoli che ho ritrovato in questo viaggio che è solo a metà strada, che mi aveva accolto quel giorno con gli amici di Libera. L'ho ritrovato deserto, l'ho ritrovato pieno di gente che celebrava il sabato sera, ma rimarrà sempre pieno delle risate dei bambini di quel giorno, del mio bisogno di dormire, della mia voglia di non farlo.
Ho preso tanti treni per arrivar fin qui, alcuni in pieno volto, alcuni addormentati intorno a me, quieti, beati, come l'ombra del porto là, dietro le luci, con le sue sagome che si fan più deformate col passar del tempo.
Osservo il soffitto, la luce artificiale si fa sconfiggere dalla tenue dirompenza che proviene da levante, con l'azzurro che si mischia all'emissione del sodio fino a cancellarla, fino alla sua resa. Allungo una mano, ora posso chiudere gli occhi per un po'. Ricomincia il cammino, tortuoso, intervallato da pasti poco sani, birre, stazioni ed aeroporti. Non posso dormire sul serio quando sorrido così.
Col mal di vivere mi ci sciacquo il culo.
Evviva, sei tornato :)
RispondiEliminaEvviva, sei tornato :)
RispondiEliminaPer il centesimo post serviva l'occasione giusta
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