Una notte ricevetti un link, dentro c'erano pensieri, telai e catene di biciclette come sonagli. Non ho così buona memoria di quanto contenesse, ricordo sensazioni, ricordo che era sempre estate.
Milano è il giallo del sodio che si riflette nelle pozzanghere, sempre quello che ritrovi ovunque ma che in fondo sai essere autentico solo lì. È una pizza alta, di quelle che ti portavi a casa nel cartone fumante, tra lo sferragliare del tram e il rumore continuo delle auto sul pavé, una grande piazza disseminata di case. Rimane quel grande paesotto dove in fondo si conoscono tutti, dove scendi al bar per berti una birra, un the, scambiare le due chiacchere stanche di chi si gode la città deserta, assuefatta dal cibo natalizio e dalle case in montagna.
Ti appare all'improvviso, tetro, imponente, San Vittore. Per la prima volta lo vedo libero dall'arte di strada, triste più che mai, silenzioso nel suo contenere più respiri di quanti si potrebbe permettere, più storie di quante vorrebbe contenere. Da qualche parte qui intorno ci dovrebbe essere l'edicola, o almeno lo spiazzo che la conteneva, da dove tornavi con le dita sporche di piombo, infreddolito dalla vita in su perché la stufetta elettrica era un toccasana solo parziale. Quella via mi sta urlando contro la vita lontana, di quando contavo le parole, di quando il mondo ti passava davanti per un pomeriggio, una giornata intera, al ritmo sincopato di quotidiani distribuiti col sorriso e delle prime nuvole del denso fumo di Marlboro rosse.
Le biciclette ispirate da quella piazza, da quella via. Ci sono dentro, veramente. Ho le scarpe bagnate, perché qua piove poco, ma è come piovesse tre volte in una. Ho un treno da prendere e corro via, sapendo che in fondo Milano, che casa mia non lo è più da un po', sempre così mi aspetterà, al di là delle piazze scintillanti ed artefatte che son spuntate come infestanti funghi dove esistevano parchi e siringhe.
L'Essere e Benessere è la nuova versione ben vestita delle botteghe dei cinesi.
In realtà la memoria è ancora agile. O così credevamo.
Milano è il giallo del sodio che si riflette nelle pozzanghere, sempre quello che ritrovi ovunque ma che in fondo sai essere autentico solo lì. È una pizza alta, di quelle che ti portavi a casa nel cartone fumante, tra lo sferragliare del tram e il rumore continuo delle auto sul pavé, una grande piazza disseminata di case. Rimane quel grande paesotto dove in fondo si conoscono tutti, dove scendi al bar per berti una birra, un the, scambiare le due chiacchere stanche di chi si gode la città deserta, assuefatta dal cibo natalizio e dalle case in montagna.
Ti appare all'improvviso, tetro, imponente, San Vittore. Per la prima volta lo vedo libero dall'arte di strada, triste più che mai, silenzioso nel suo contenere più respiri di quanti si potrebbe permettere, più storie di quante vorrebbe contenere. Da qualche parte qui intorno ci dovrebbe essere l'edicola, o almeno lo spiazzo che la conteneva, da dove tornavi con le dita sporche di piombo, infreddolito dalla vita in su perché la stufetta elettrica era un toccasana solo parziale. Quella via mi sta urlando contro la vita lontana, di quando contavo le parole, di quando il mondo ti passava davanti per un pomeriggio, una giornata intera, al ritmo sincopato di quotidiani distribuiti col sorriso e delle prime nuvole del denso fumo di Marlboro rosse.
Le biciclette ispirate da quella piazza, da quella via. Ci sono dentro, veramente. Ho le scarpe bagnate, perché qua piove poco, ma è come piovesse tre volte in una. Ho un treno da prendere e corro via, sapendo che in fondo Milano, che casa mia non lo è più da un po', sempre così mi aspetterà, al di là delle piazze scintillanti ed artefatte che son spuntate come infestanti funghi dove esistevano parchi e siringhe.
L'Essere e Benessere è la nuova versione ben vestita delle botteghe dei cinesi.
In realtà la memoria è ancora agile. O così credevamo.