In quattro mura senza angoli retti ti aggiri, inquieto parli da solo, rubi sorsi dai bicchieri ormai disseminati per l'appartamento. Il pavimento inclinato, la luce del giorno che va a morire dietro il campanile.
Devi uscire da qui, non devi pensare. Inforchi la bici, ti fai scivolare addosso le luci di una città senza motivo in festa, la fresca aria di metà maggio ti culla nel tuo fumare come una locomotiva in salita. Non provi più quel disgusto sulla pelle verso quella società ipocrita che ti circondava, no, ora è qualcosa di viscerale, qualcosa che ti porti dentro perché con quelle immagini, quegli esempi, tuo malgrado, ci sei dovuto crescere. Quegli esempi ti sono entrati dentro, ti han scavato solchi che hai imparato a non voler superare o per lo meno a provarci, solchi che ti permettono di riconoscere tali esempi, solchi che ti ricordano di aver il controllo.
Fiancheggi il canale, file di alberi ordinati, innaturali, ti passano silenziose dalla parte opposta, accartocci la lattina che ti ha fatto compagnia fino a poco fa, la butti nello zaino aperto per prenderne un'altra, cerchi di non pensare, ma quei solchi ti si riaprono addosso. Come se gli ultimi anni non fossero stati che un vestire la maschera di chi si sa integrare, di chi sa accettare l'errore reiterato altrui. Forse qui stai meglio davvero, se non fossi obbligato per scelte e sfortuna a dover sempre guardare al punto da cui arrivi, alle sue contraddizioni, alla sua "bellezza nonostante". Forse solo non capisci il qui.
Decidi di non continuare il giro, tiri dritto, ora la città sta veramente scivolando via, si aprono i prati quasi subito, il vento si fa più fresco e violento, portando odore di campi e laghi. Oscurità, vecchia compagna di silenzi, di emozioni genuine. Siamo gente che non va a votare quando dovrebbe e si lamenta per gli anni rimanenti del fatto che non possa votare. Affondi i piedi nei pedali, non hai la minima idea di dove quel muro nero davanti a te possa portarti, acceleri. Forse sei tu, forse è solo il vento. Siamo gente che le tasse non le vuol pagare perché in fondo niente di quello cui le tue tasse servono funziona a dovere. Siamo gente che ama i loop.
Non pensare, stai andando bene, accelera. Le lattine tintinnano nello zaino semi aperto, ne sostituisci un'altra. Sudi e porti la mente sui solchi, ti si aprono più tumultuosi. I solchi sono il motivo per cui ti racconti di essere diverso. Il vento è freddo, non stai andando così forte, stai sudando per i motivi sbagliati. Controlla il respiro, riporta il cuore ad un ritmo normale, usa il cervello.
Il muro nero si abbatte, quattro case nel niente ti dicono che è ora di girare la bici. Si, ma verso dove? In che punto posso scappare ora? Ti tocchi la tasca, nessun segnale. Poi l'altra, niente. Riguardi l'oscurità, ora carnefice del tuo smarrimento, dello smarrimento delle linee che vuoi imprimerti sulla pelle. Hai solo 3 lattine di autonomia. Siamo gente che nemmeno prova a capire qualcosa di scientifico, qualora ci sia un torbido racconto su internet che dimostrerebbe il contrario. Siamo gente cui non piacciono i fatti.
Segui l'odore di lago, che quello di campi ti porterebbe probabilmente in un mare di merda. Sfiori le tasche, ti è sembrato di aver sentito qualcosa. Hai sentito solo il tuo fallimento nel dominare i pensieri. Ritrovi la strada, determinato, sopravviverai, ti fanno male le gambe, ma i solchi aiutano. La brezza ora ti spinge, come a dire che è ora di tornare, che sei pronto a riconoscere il lupo travestito da pecora che giustifica il sangue intorno alle sue fauci con un non ancora dimostrato "siam pur sempre umani".
L'alba non si fa attendere, mentre bruci l'ennesimo tabacco arrotolato, la bici è stanca 3 piani più sotto. L'umanità per giustificare le proprie perverse voglie di distruggere tutto, l'essersi voluto cucire addosso l'abito di chi fa e predica la cosa giusta per far passare più inosservate debolezze sintomo di una profonda, ben radicata, crudeltà verso il prossimo. Che sia uno o l'intero sistema.
Si chiama ipocrisia, riassunta nel fatto che sei maleducato se mastichi con la bocca aperta, quando l'alternativa è essere considerato uno con la faccia da coglione quando mastica con la bocca chiusa. Che poi è la mia dimostrazione preferita della non esistenza di Dio.
Ti trascini nello stato fluttuante tra vita e svenimento verso il letto, ormai incapace di riconoscere cosa stia accadendo per davvero e cosa sia solo nella tua testa stanca di tener a bada se stessa.
Quanto sei dentro le descrizioni che hai di ciò che vedi? Quanto ne sei in realtà protagonista? Quanto riuscirai a non rientrarci? Quanto ancora resisterai mentre fa giorno?
No, tu sei diverso, tu vedi queste cose perché ne sei fuori, tu hai i solchi. Ovunque, laceranti, profondi, indelebili solchi.
Se parlassi la lingua della gente che ho intorno sarebbe un inferno.
Devi uscire da qui, non devi pensare. Inforchi la bici, ti fai scivolare addosso le luci di una città senza motivo in festa, la fresca aria di metà maggio ti culla nel tuo fumare come una locomotiva in salita. Non provi più quel disgusto sulla pelle verso quella società ipocrita che ti circondava, no, ora è qualcosa di viscerale, qualcosa che ti porti dentro perché con quelle immagini, quegli esempi, tuo malgrado, ci sei dovuto crescere. Quegli esempi ti sono entrati dentro, ti han scavato solchi che hai imparato a non voler superare o per lo meno a provarci, solchi che ti permettono di riconoscere tali esempi, solchi che ti ricordano di aver il controllo.
Fiancheggi il canale, file di alberi ordinati, innaturali, ti passano silenziose dalla parte opposta, accartocci la lattina che ti ha fatto compagnia fino a poco fa, la butti nello zaino aperto per prenderne un'altra, cerchi di non pensare, ma quei solchi ti si riaprono addosso. Come se gli ultimi anni non fossero stati che un vestire la maschera di chi si sa integrare, di chi sa accettare l'errore reiterato altrui. Forse qui stai meglio davvero, se non fossi obbligato per scelte e sfortuna a dover sempre guardare al punto da cui arrivi, alle sue contraddizioni, alla sua "bellezza nonostante". Forse solo non capisci il qui.
Decidi di non continuare il giro, tiri dritto, ora la città sta veramente scivolando via, si aprono i prati quasi subito, il vento si fa più fresco e violento, portando odore di campi e laghi. Oscurità, vecchia compagna di silenzi, di emozioni genuine. Siamo gente che non va a votare quando dovrebbe e si lamenta per gli anni rimanenti del fatto che non possa votare. Affondi i piedi nei pedali, non hai la minima idea di dove quel muro nero davanti a te possa portarti, acceleri. Forse sei tu, forse è solo il vento. Siamo gente che le tasse non le vuol pagare perché in fondo niente di quello cui le tue tasse servono funziona a dovere. Siamo gente che ama i loop.
Non pensare, stai andando bene, accelera. Le lattine tintinnano nello zaino semi aperto, ne sostituisci un'altra. Sudi e porti la mente sui solchi, ti si aprono più tumultuosi. I solchi sono il motivo per cui ti racconti di essere diverso. Il vento è freddo, non stai andando così forte, stai sudando per i motivi sbagliati. Controlla il respiro, riporta il cuore ad un ritmo normale, usa il cervello.
Il muro nero si abbatte, quattro case nel niente ti dicono che è ora di girare la bici. Si, ma verso dove? In che punto posso scappare ora? Ti tocchi la tasca, nessun segnale. Poi l'altra, niente. Riguardi l'oscurità, ora carnefice del tuo smarrimento, dello smarrimento delle linee che vuoi imprimerti sulla pelle. Hai solo 3 lattine di autonomia. Siamo gente che nemmeno prova a capire qualcosa di scientifico, qualora ci sia un torbido racconto su internet che dimostrerebbe il contrario. Siamo gente cui non piacciono i fatti.
Segui l'odore di lago, che quello di campi ti porterebbe probabilmente in un mare di merda. Sfiori le tasche, ti è sembrato di aver sentito qualcosa. Hai sentito solo il tuo fallimento nel dominare i pensieri. Ritrovi la strada, determinato, sopravviverai, ti fanno male le gambe, ma i solchi aiutano. La brezza ora ti spinge, come a dire che è ora di tornare, che sei pronto a riconoscere il lupo travestito da pecora che giustifica il sangue intorno alle sue fauci con un non ancora dimostrato "siam pur sempre umani".
L'alba non si fa attendere, mentre bruci l'ennesimo tabacco arrotolato, la bici è stanca 3 piani più sotto. L'umanità per giustificare le proprie perverse voglie di distruggere tutto, l'essersi voluto cucire addosso l'abito di chi fa e predica la cosa giusta per far passare più inosservate debolezze sintomo di una profonda, ben radicata, crudeltà verso il prossimo. Che sia uno o l'intero sistema.
Si chiama ipocrisia, riassunta nel fatto che sei maleducato se mastichi con la bocca aperta, quando l'alternativa è essere considerato uno con la faccia da coglione quando mastica con la bocca chiusa. Che poi è la mia dimostrazione preferita della non esistenza di Dio.
Ti trascini nello stato fluttuante tra vita e svenimento verso il letto, ormai incapace di riconoscere cosa stia accadendo per davvero e cosa sia solo nella tua testa stanca di tener a bada se stessa.
Quanto sei dentro le descrizioni che hai di ciò che vedi? Quanto ne sei in realtà protagonista? Quanto riuscirai a non rientrarci? Quanto ancora resisterai mentre fa giorno?
No, tu sei diverso, tu vedi queste cose perché ne sei fuori, tu hai i solchi. Ovunque, laceranti, profondi, indelebili solchi.
Se parlassi la lingua della gente che ho intorno sarebbe un inferno.
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