mercoledì 23 giugno 2010

L'inesorabile affiorare di ricordi senza motivo

Una volta la mia cuginetta, che a quei tempi aveva si e no 5 anni, guardo sopra il mio letto, dove svetta l'oramai inflazionata immagine del Che e chiese a mio padre: "Chi è quello?"

Mio padre in 22 anni mi ha palesato una qualunque sua inclinazione politica solo quando una volta urlò addosso al vicino leghista quanto fosse totalmente privo di logica e fondamento il suo pensiero secessionista. Se no nulla, sempre molto attento a non influenzarmi mai. Per esempio ho fatto il catechismo anche se non l'ho mai visto avvicinarsi a una chiesa in vita mia. A ben pensarci poteva trovare metodi più folkloristici per spingermi verso il consumo occasionale di droghe.

Ho passato l'intera infanzia a ignorare una qualunque opinione di mio padre in campo politico, se si vedeva il Tg3, poco dopo cominciava il Tg5. E si guardavano nello stesso modo. Prendeva Repubblica, è vero, ma non così spesso da annoverarlo tra i lettori di Repubblica. Con l'avanzare degli anni ho elaborato che era stata una sua scelta di lasciarmi libero di credere in quello che volevo o una sua qualche difficoltà nel sbilanciarsi con me.

Mio padre guardò il poster, rosso e nero, dallo sguardo sognante (il poster dico, lo sguardo di mio padre io mica lo vedevo), con lo sguardo che dice ancora "Hasta Siempre comandante".

Quel modo di crescermi era probabilmente il vecchio imprinting ideologico, quello che contano sono gli ideali di ugaglianza, di rispetto, di raziocinio. Cose che sono nate in me, a mio modo di vedere, in maniera del tutto spontanea, nonostante il catechismo.

Mio padre aspettò un attimo prima di dire "quello? quello è un eroe".

Una cinquenne una frase del genere non la sente neanche, infatti credo che me l'abbia chiesto nuovamente qualche tempo dopo, però in quella frase, molto casuale, così fine a se stessa, così dettata dalla ormai familiare volontà di troncare il discorso, quella frase col tempo mi è rimasta. Perché è così squisitamente ideologica, così noncurante dei morti provocati dal vecchio Ernesto, così preberlusconiana, da raccogliere in se stessa una qualche poetica, da avere la forza di 22 anni di silenzio.

Perché nel 94 nacque il primo partito post-ideologico, iniziò a morire la politica, fino a quando non nacque il secondo primo partito post-ideologico, pieno di ex-democristiani, ex-socialisti ed ex-comunisti, che ha decretato ufficialmente che governare uno Stato, o meglio per convincere la gente a farti governare, non serve avere ideali, neanche quelli prima citati. Lentamente pare ci si dimentichi anche che servirebbe per lo meno avere idee, ma pare che di questi tempi è chiedere troppo.

Quasi servisse la presenza di qualche eroe.

sabato 12 giugno 2010

Sottotono

Me, alle quattro del pomeriggioLa pubblicazione di una qualsivoglia perversa vaccata che mi passa per mente è un processo di mero narcisismo e pornografia emotiva. Dunque si, ecco svelato il motivo dell'esistenza di un numero di Avogadro di blog e si, in questa metafora (che poi non son mica tanto sicuro che sia una metafora) internet rappresenta una mole.
La cosa straordinariamente straordinaria è l'assoluta (nel senso di valore assoluto) tendenza a dipingersi come dei moderni Bukowski. E quindi ho passato una giornata che in qualche modo voleva onorare la memoria del compianto scrittore.

All'alba mi son riaddormentato, perché ho deciso troppo tardi di passare una giornata che in qualche modo voleva onorare la memoria del compianto scrittore e quindi quando mi son svegliato ho pensato di finire quel dozzinale intruglio chiamato dal mondo tequila e sono tornato a dormire. Prima di svegliarmi di soprassalto mentre sguazzavo nel mio vomito, perché voglio vederlo io, il compianto scrittore, a bere alle 7 di mattina mezzo litro di tequila e non vomitarsi addosso. Se non altro per vedere se la cosa gli piace.

Poi non ho fatto assolutamente nulla, ma l'ho fatto molto trasgressivamente. Pensando al sesso, alla droga, alla merda. Una giornata bellissima o, come la chiamo solitamente, una serie di pensieri da fare mentre si aspetta il treno. Che poi se lo racconti sei o un pervertito o uno che imita Bukowski. No no, sei un pervertito. Mentre se, come tutti gli altri, te lo tieni per te, sei una persona rispettabilissima e autorizzatissima ad indignarsi se, per esempio, infrango occasionalmente il mio voto di non parlare con gli sconosciuti e cerco di intavolare un dibattito sulla corrispondenza tra esperienze quotidiane e consistenza delle proprie feci.

Per finire ho anche preso la tubercolosi, tanto per passare una giornata che in qualche modo voleva onorare la memoria del compianto scrittore, ma poi ho bevuto latte e cognac, ho dormito e sono guarito, come sempre (questa è vera).

E dunque oggi mi ero riproposto di parlare del gay pride a Milano, ma non ci sono andato perché dovevo studiare della sana fisica. Quindi non avevo più nulla da dire, come quasi sempre tra l'altro, eqquindi ho cercato di rendere interessante all'uomo della strada la mia giornata.

Non ci sono riuscito, quindi ho pensato di parlare di questa cosa. Adoro i metapost.

Vi lascerò con un grande messaggio antiomofobo: mai picchiare un gay, potrebbe darvele. Almeno a me le darebbe, ma sarebbe un po' stronzo, ho anche la tubercolosi.

lunedì 31 maggio 2010

Viaggi da disadattato

Lunedì ventoso, in quel della Milano più rossa e spigolosa, quella che un tempo era la punta di diamante dell'industria milanese e ora è la punta di diamante della Pirelli. E' un po' il tempo che meglio mi si addice, quello della Milano più rossa e spigolosa di oggi. Se non altro perché mi toglie dall'imbarazzo di trovare un incipit che non crei alcuna spettativa su quanto potrebbe mai seguire.

Giusto per non deludere nessuno.

Capita, alle volte, che mentre il treno si avvicina, lemme lemme, fischiando un sidiesis il cui fastidio è solo parzialmente attutito dalla musica, altissima, nelle orecchie, mi si scarichi il vetusto lettore mp3, che nella vita sa fare solo il lettore mp3, perché per me le cose devono saper fare quello che devono fare, quindi il lettore mp3 legge gli mp3, la macchina fotografica fotografa e il cellulare, unica eccezione, telefona e fa da sveglia. Ecco quando capita, che si scarichi il vetusto lettore mp3 dico, mi trovo nell'imbarazzante situazione del viaggiatore, nel suo piccolo inferno chiamato vagone in cui non viaggerebbero neanche Paolo e Francesca perché ne hanno passate abbastanza, che è costretto ad ascoltare i discorsi altrui.
Il fastidio di ascoltare discorsi quasi sempre di assoluta irrilevanza e spesso di un'ignoranza non solo marcata, ma anche sbandierata così, senza pudore, è quasi completamente compensato dalla possibilità che mi da di fare lo snob oltre ogni limite, fino a risultare sufficientemente odioso al lettore che si mette quasi istantaneamente alla ricerca di errori di sintassi o di battitura, giusto per trovar un sano e solido motivo di insultarmi. Ebbene, caro lettore che entri di gran carriera nella categoria snob, entro fine pagina ne troverai almeno 15, di errori dico.

A questo punto viene da chiedersi dove io voglia, con questo fiume di parole che si tormentano l'un l'altra come una nave israeliana contro una nave non governativa, andare a parare. No, l'obiettivo non è creare la proposizione incidentale che unisca prolissità e pochezza di significato.
E' che, nel mio furibondo tentativo di rimanere lontano dall'ascella del bisonte brianzolo incravattato che stava illogicamente vicino a me, ho notato, perché ogni tanto mi capita di notare qualcosa mentre mi sposto da un punto A ad un punto B, che sostanzialmente quando ero più un fringuello di questa società la gente interagivano di più tra di loro. Ora che son l'equivalente societario di un piccione, quindi dopo la grande e capillare rivoluzione tecnologica, la gente o la conosci o ti fa schifo (beh calma, non mi azzarderei mai ad imporre un così secco aut aut). Il che è ironico se si pensa che la grande e capillare rivoluzione tecnologica è in concomitanza con l'affermarsi su ogni livello del modello globalizzatore, creato appositamente per ridurre le distanze tra persone.

Non vorrei ora sembrare più semplicistico di un'analisi politica dell'onorevole Gasparri però, in quei 13, sudati, calorosi e vagamente erotici minuti di treno, l'ironia andava rapidamente risolvendosi nel momento in cui ci si ragiona un attimo su. Ormai si hanno così tanti modi di comunicare, tenere contatti, avvicinarsi, conoscersi senza vedersi con le persone che alla fine ci siam avvicinati troppo. E, diciamo la verità, la gente fanno schifo (escluse le splendide persone ricche di gusto e cultura che son giunti fino a questo punto, ovviamente).

E, gnente, vedete voi.

domenica 30 maggio 2010

Ricordo, stragi di mafia, vecchie canzoni e libri di storia

Una volta ero alle elementari, in quel caldo pomeriggio d'ottobre noi si era in giardino a fare quello che la società impone di fare a degli ottenni o poco più: partita di calcio. La ricreazione si doveva svolgere sempre così: 4 giacche per terra a delimitare una porta dai pali spropositamente larghi che ribattevano il pallone sempre nello stesso modo, sfidando ogni legge sulla conservazione del momento. Me li ricordo bene, quegli intervalli post pranzo che ti procuravano quelle strisciate d'erba in corrispondenza delle ginocchia sui jeans, che ogni tanto ti procuravano qualche livido, qualche labbro gonfio per una parola detta fuori posto.
E mi ricordo anche che una volta la maestra Concetta, perché è così che si chiamava quella che ci insegnava a leggere e scrivere ma non a far di conto, ci stava richiamando segnalando l'inesorabile fine del ludico momento e ricordo anche che cominciai a correre, in direzione della porta. Non era una decisione tattica delle più ardite per uno che era scarso quindi faceva il difensore, bensì la porta, con le sue due giacche, era tra me e l'ingresso della scuola dai tratti archittettonici così marcatamente fascisti.

Strano come qualche ricordo sia estremamente nitido, per me che poi non dimentico nulla. Per esempio mi ricordo quella notte del 27 luglio 1993, o meglio mi ricordo la mattina seguente quando mia nonna, perché era a casa sua che mi trovavo, mi disse: "è scoppiata una bomba vicino a casa tua". Una bomba che uccise tre vigili del fuoco, la cui caserma era proprio lì vicino, accanto alla mia scuola materna. Tre vigili del fuoco che una volta mi fecero salire su uno dei loro mezzi, mi mostrarono come il loro pastore tedesco riuscisse con facilità ad aprire il portone della caserma. Anche quel cane era sul posto quella notte, così mi dissero poi degli altri vigili, ma lui si salvò. Insieme a loro morirono anche un vigile urbano, anche lui giunto sul posto, e un, cito il tg5 della sera successiva, "vagabondo, un immigrato irregolare" che dormiva su una panchina.

Mi ricordo che quel caldo pomeriggio d'ottobre mi dirigevo di corsa verso l'ingresso della scuola dai tratti archittettonici così marcatamente fascisti e vidi a terra il cappotto blu del mio compagno di classe Antonio, promosso a palo destro della porta, il cappotto, non il mio compagno Antonio, anche perché era decisamente troppo robusto per essere un palo.

Ricordo anche che in quella calda estate del '93 ci furono altre bombe, me le ricordo bene, oltre a quella vicino a casa mia, che ora viene ricordata come la strage di via Palestro. Mi ricordo che la parola mafia usciva spesso, molto più spesso di quanto non si fosse fatto nei mesi precedenti, essì che l'eco delle esplosioni in cui son morti quei due giudici si sarebbe dovuto ancora sentire. Come se lontano dalle stragi la memoria della gente si intorpidisse. E si intorpidiva in fretta perché pochi mesi prima avevano provato ad uccidere Maurizio Costanzo, credo perché reo di aver invitato Rita Dalla Chiesa, figlia di una delle figure antimafia più rilevanti della mai studiata storia Italiana.

Mentre correvo verso quel cappotto lungo, di quelli che per un certo periodo della mia vita mi son rifiutato di mettere, prima di pensare che con un cappotto lungo, se mi mettevo a correre, avrei dato l'impressione a tutti di avere un mantello. Oppure di essere un investigatore di quei film anni 80/90, in cui poi alla lunga si metteva a piovere, enfatizzando in maniera marcata il suo abbandonare la donna che l'amava per dedicarsi al rischio del lavoro, da vero uomo vissuto mezzo secolo fa. E ricordo che pensai, per 5 metri buoni, lo salto o lo calpesto?

Ricordo che ai tempi i giornali, alcuni giornali, si interrogarono, molto brevemente, giusto il tempo di far dimenticare la cosa alla gente, se fosse davvero solo opera di Cosa Nostra, che solo qualche anno dopo capii essere solo un altro modo di dire mafia. Strano come frasi pensate 16/17 anni fa siano ancora in qualche modo attuali. E' strano anche che saranno 10 anni che vado a concerti in cui in un certo momento chi è sul palco dice "questa canzone è stata scritta N (con N intero positivo maggiore di 10, spesso tendente al 20, a volte al 40) anni fa e sembra scritta l'altro ieri". E' strano perché c'è sempre qualcuno che si stupisce di come, facendogli pensare un po' alle cose, qualche ricordo affiori dall'intorpidimento. E' anche strano che nessuno abbia ancora scritto una canzone su come, in 10 anni, le canzoni scritte 40 anni fa (che adesso sono 50) siano ancora attuali.

Antonio non mi aveva mai fatto nulla di male e in fin dei conti andavamo d'accordo, una rarità per il mio periodo elementare. Questo suppongo non stupisca nessuno che mi conosca da più di 10 minuti, se son così, diciamo, particolare ora, figuratevi in tenera età. Diciamo che nel piccolo inferno dei primi anni di istruzione, in cui cerchi di non prendere troppe botte (sapendo perfettamente che non verrà youtube a salvarti) quelli molto più grossi di te che non ti picchiano sono qualcosa di molto prezioso.

Non mi ha mai stupito molto come le canzoni e le notizie, ciclicamente, si assomiglino tra loro. In Italia, in quell'Italia che non si vede mai sui libri di scuola perché è molto più istruttivo farti studiare come delle scimmie si lanciassero la cacca vicendevolmente tra un graffito e l'altro, oppure quei 1000 anni di sostanziale nulla chiamato medioevo, non gli avvenimenti storici eh, ma ricordo capitoli interi dedicati a come seminassero nel feudo. Riprendendo le redini di quella incidentale durata troppo per proseguire la frase precedente, dicevo, è molto più istruttivo, evidentemente, sapere quelle robe lì, piuttosto che un qualunque evento avvenuto dopo il 1945. Quindi dicevo, in italia, in quell'italia che non studi mai, le cose non cambiano, mai, al più si vestono diversamente, fino a che non si dimenticano, fino a che non si ripresentano di nuovo.

Alle elementari son sempre stato buono con tutti, più per convenienza che per sincera bontà, tranne che col bullo della scuola, che una volta voleva picchiarmi e non chinai il capo. Questa cosa lo colpì positivamente, da quella volta prese le mie difese e non mi picchiò più. Per lo meno non in faccia. Mentre correvo verso il cappotto di Antonio, a un solo passo dallo stesso, cambiai idea. E lo calpestai, tutti videro che l'avevo fatto, anche Antonio. Era un gesto così, di gratuita offesa, che mi porto dentro come una piccola cicatrice, di cui ancora so dispiacermi.

C'è un mafioso pentito, un procuratore generale antimafia e un ex presidente del Consiglio ed ex presidente della Repubblica che sostengono che le tragi etichettate come mafiose di quegl'anni erano probabilmente un tentativo di golpe. Alcune accuse portano all'attuale presidente del Consiglio e ad alcuni suoi stretti collaboratori. Due soli giornali, ad oggi, hanno messo in evidenza la cosa.

Certe cose puoi dimenticarle, ma la puzza di marcio prima o poi si fa sentire, sta a noi non dimenticarle di nuovo.

Del cappotto di Antonio io non mi scorderò, è qualcosa che mi porto, come monito, sempre dietro.

Scusa Antonio, il tuo cognome non lo ricordo, ma io non mi scordo mai nulla.

Un abbraccio metaforico a Carlo, Sergio e Stefano, per quanto non riesca più ad associare i vostri nomi a vostri volti ricordo bene come siete sempre stati gentilissimi con i bambini della scuola materna che stava tra la vostra caserma e via Palestro.