Visto che la maggior parte delle persone le pubblicità le guarda e quelli che non le guardano poi le trovano su youtube, vorrei dedicare qualche riga per fare una breve riflessione sullo spot del Forum Nucleare Italiano.
Quello che mi preme di sottolineare è che in temi prettamente tecnici e scientifici non si hanno opinioni. Non è che secondo me il nucleare si o secondo me il nucleare no, Ci sono i conti, ci sono le equazioni non è che il primo pirla dalla voce suadente che passa giocando a scacchi può avere un'opinione in merito sui numeri.
Perché è raccapricciante un Paese dove in materia di nucleare si sceglie in base al colore dei pezzi e alla voce più o meno suadente di quelli nella scatola nera del soggiorno. Piuttosto gradirei che, se il Governo ci tiene tanto al fatto tu ti faccia un'opinione in merito, si distribuisse ad ogni famiglia un libro di analisi matematica, poi il mese successivo N libri di fisica dalla meccanica classica alla quantistica, poi qualche mese dopo i costi che dovremmo sopportare come cittadini. Così che alla fine ognuno si metta lì con un plico di fogli e conti se il nucleare serve o no.
Ecco, visto che un'operazione simile non si può fare direi che possiamo evitare di riempirci la bocca di cose che non sappiamo, che ne dite?
p.s. Senza contare le 4 in Italia (che non so in che stato siano), partendo dal confine italiano e non allontandosi per più della distanza tra il confine e Saint-Etiene ci sono 11 centrali nucleari, da alcune di esse ci paghiamo l'energia. Così, giusto perché le persone spaventate mi fan ridere.
mercoledì 29 dicembre 2010
Opinioni Nucleari, quando l'aria fritta può essere anche verde
lunedì 13 dicembre 2010
Fighting the Law
Lunedì mattina, e il colore del cielo ricorda un matrimonio celebrato controvoglia. Cammino come sempre parecchio immerso in qualche diaologo con me stesso e mentre mi compiaccio della qualità dello stesso mi accorgo che è sparita, è sparita la panchina.
Ci passavo davanti ogni giorno, due volte, e, di tanto in tanto, mi piaceva sedermici sopra per qualche minuto. Non aveva una bella vista se non si apprezza la poesia che racchiude una strada trafficata, infatti era snobbata pure dai vandali più artistici. Però, ecco, mi aveva sempre dato un gran senso di libertà e potere il mio sapermi fermare 10 minuti su una panchina, lasciando il mondo correre da solo, per un po'.
Non che abbia tempo da perdere, ma di certo quello era il tempo che perdevo più volentieri.
E ora no, la panchina me l'han tolta.
Chissà che avrei potuto farci su quella panchina, ci ho finito dei libri, scritto pensieri, fatto nulla lasciandomi avviluppare dal fumo della sigaretta, progettato viaggi.
L'ultima volta che mi ci son alzato il cielo era diventato di un azzurro uniforme che sembrava artificiale e per un secondo ho avuto l'impressione che da esso fosse stato cancellato qualcosa. Il cielo è rimasto lì, è quaggiù che sorge un problema.
Che poi ci parlai coi lavoratori lì accanto e uno sosteneva che le panchine non ci possono star così vicine alla strada, che c'era una legge che lo diceva. Non gli credo mica, ma nel dubbio meglio protestare, che male non fa. Sarà una questione di fiducia. Mah.
domenica 10 ottobre 2010
L'odore della morte
Il fatto di cronaca che in questi giorni riempie le menti delle persone e i titoli dei giornali è senza dubbio l'omicidio di Avetrana. Il bel paese è stato negli ultimi anni teatro di efferate espressioni dell'animo umano ma questa bestialità ha forse più di tutte colpito l'animo della gente. Una giovane, bella, ragazzina quindicenne viene uccisa dal proprio zio perché non gli voleva concedere il suo corpo e, dopo il violento trapasso per soffocamento, viene violentata, come un pezzo di carne. Un pezzo di carne ancora caldo ormai orbo dei suoi sogni e aspirazioni.
Un terribile omicidio, forse il peggiore degli ultimi anni, che ha colpito la gente comune, estranea alla faccenda, scatenando nell'animo umano ciò che è proprio del disgusto nei confronti dell'animo umano stesso. Inutile dilungarsi su come i mezzi di informazione abbiano agito come se volessero uccidere e stuprare nuovamente la povera Sara, mettendo in piazza i suoi pensieri, tra l'altro comunissimi, che sotto la luce dei riflettori ne uscivano cupi, contorti, misteriosi, come se ogni giornalista non avesse mai avuto 15 anni.
Quello che invece sconvolge è la reazione della gente comune all'azione di quell'animale rabbioso di suo zio. La gente lo vuole morto, quella stessa gente che magari si indigna per la pena di morte o la lapidazione nei paesi islamici, vuole che un uomo già consegnato alla giustizia per un'azione atroce che va fuori dalla definizione di "umana" muoia. Ma non si limita a questo, desidera anche che la sua morte sia lenta, dolorosa, sadica, vuole che "tagliategli una palla co le cesoie...poi il cazzo con le forbici dentate...dopodichè estraetegli la seconda palla con le mani,strappatejela,fatejela masticare mentre viene sodomizzato... fatto questo potete pure sparaje in testa." e vuole che questo venga fatto davanti a tutti così che loro possano vederlo.
Vogliono poter assaporare ogni istante dello spegnimento di una vita, come se volessero avere le loro mani intorno al suo collo, a premere poco sotto la trachea. Per sentire tutte quelle piccole ossicina rompersi come quando schiacci per sbaglio un pacco di grissini, osservare i suoi occhi girarsi, i capillari esplodere, il respiro spegnersi, il suo corpo raffreddarsi. Vogliono sentire l'odore del suo sangue, riconducibile al sapore che hanno le monete. Sentire l'odore della merda che fuoriesce senza controllo da un corpo che perde i sensi. Ed essere lì quando gli arti si irrigidiscono, quando l'ultimo respiro porta alle loro sadiche narici l'odore della morte, misto tra sangue merda e odio.
E a questo punto, forse, si chiederanno cosa li rende migliori di quel mostro e non troveranno risposta. Perché la vendetta non da levatura morale, soddisfa solo il loro desiderio di sentirsi vivi, di sentire emozioni, di sentire il loro battito cardiaco accelerato, di sentire l'odore di sangue e merda. L'odore della morte.
Esiste un confine, passato il quale l'uomo conferma di essere la peggiore delle bestie, che uccide per il proprio divertimento, per la propria soddisfazione e tutte queste persone l'hanno superato, senza risentirsene. Un confine superato sulla spinta dell'orrore nei confronti di un gesto difficile solo da immaginare. Ma la verità è che queste persone non hanno difficoltà ad immaginarlo, è parte di loro, ne traggono anzi piacere, sollievo.
Col tempo si è persa la concezione di cosa possa voler dire privare una persona della vita ed essere lì nel momento in cui si spegne. Colpa della televisione, dei film? Forse. Ma non è altro che un disseppellire un istinto primordiale insito nel solo animo umano, riassumibile nel sentirsi meglio se si può fa star peggio qualcun altro.
La morte in queste occasioni pare entrare nella mente delle masse non più solo come a beautiful friend che ti libera dai mali che il mondo ti ha fatto e che potrebbe farti, dandoti quel sollievo, nello spirito, tipico dell'assenza di dolore, reale o potenziale. La morte diventa uno strumento da utilizzare contro persone che non si conoscono, intrisa di un bestiale sadismo, un desiderio di sentire l'inizio della putrefazione, del rumore di un'anima che svanisce. Tutti aspirano ad una morte indolore, un dolore che può essere interpretato anche come nel non poter realizzare i propri sogni e le proprie aspirazioni, e si scontrano contro una realtà in cui avvengono queste morti di insensata violenza. Quando le persone si piegano a questa insensata violenza e anzi la arricchiscono con le loro perversioni smettono di essere persone, diventano sadici mietitrici senz'anima.
Lo zio di Sara Scazzi passerà il resto della sua vita in compagnia di se stesso, chi non riesce a capire la durezza e la giusta crudeltà di questa pena non è umano, è una bestia infernale, senza coscienza del mondo, della vita e della morte.
P.s. Su facebook esistono innumerevoli link su quanto ho raccontato. Nei commenti sottostanti ci sono volti e nomi. Tutte persone da cui stare alla larga, per la propria incolumità.
In questo video son lette dal computer alcune frasi a cui faccio riferimento, associandole all'immagine del profilo di facebook di queste persone, senza alcuna modifica.
giovedì 23 settembre 2010
Che poi alle volte si può avere uno slancio creativo
E' lampante in quei testi una certa propensione alle incidentali, abitudine che tra l'altro difenderò con le unghie e con i denti manco fossi La Russa coi crocifissi, e una certa ricerca di creatività. Ricerca che devo ammettere con freddo e distaccato narcisismo avevo alle volte portato a termine. Se si prosegue lungo il filo dei miei componimenti, tra neologismi d'altra scuola (ma anche alta, la scuola dico), lucide analisi dell'universo tutto e fiumi di fascinoso intellettualismo spicciolo che per lo più serviva e serve a riempire qualche riga in più, si può osservare un notevole miglioramento dello stile dal momento in cui ho imparato la parola genoflettersi. Stile che raggiunge il suo apice, il suo glorioso culmine, quando scoprii che mica si scriveva così, la parola della svolta.
Il segreto di quei gloriosi anni è che era il periodo in cui imparavo che in fondo, e in misura minore anche in superficie, il mondo un po' mi stava sulle balle e quindi mica mi andava tanto di parlarci. Però si sa che l'uomo è lo showman degli animali e chi ero io per sottrarmi al destino che il signorenostrogesùcristoonnipotente aveva scritto per me quando scriveva i destini di tutti nel periodo tra i 6 e i 33 anni in cui di lui si è perso ogni traccia. E dunque la mia produzione cartacea e multimediale raggiungeva moli e volumi decisamente non trascurabili. Per dirla con le due parole che avrei potuto usare in modo da non dover tirar in ballo il signorenostrogesùcristoonnipotente: ero allenato. Quindi si, alle volte scrivevo banalità insignificanti e sconclusionate lasciando perfino il rimorso nel lettore che aveva investito tempo per leggermi, per quanto ormai al giorno d'oggi quest'idea possa oggettivamente sembrare fuori da ogni raziocinante pensiero. Però l'allenamento pareva dare i suoi frutti e se non li dava in fondo non mi importava, tanto mica parlavo con nessuno che potesse esprimermi giudizi negativi, nessuno con diritto di opinione in merito per lo meno. Ah si, ho anche notato che col tempo il mio rispetto per le opinioni altrui e la mia presunzione sono notevolmente passate in secondo piano. Però si sa che l'antieroe spinge la popolazione a scrivere idolatranti frasi negli interni delle porte dei bagni del pubblico utilizzo (wow, 3), pertanto non smisi, se non altro per tenere il numero dei miei difetti fisso sull'uno (come disse la rai, nel 61) e per continuare a divertirmi una riga dopo l'altra.
Da qualche anno, tipo 2, non è più tanto così, ve ne sarete accorti, vivo nel ricordo di una gloria che fu, ma che ribolle dirompente in quel limbo rappresentato dal mio dito che a fine pagina si fissa premuto su backspace. Perché ho dovuto, costretto dalla vita e da dei tizi che mi pedinano armati di irrazionalità, interagire con quell'universo tutto, tra l'altro creato dal signorenostrogesùcristoonnipotente mentre impersonificava il padre nella prima recita scolastica che l'uomo non ricorda perché avvenne il giorno 0. E interagendoci ho perso per strada le parole, ho sfoderato la banalità che gelosamente custodivo e portavo sempre con me e insomma lo scrivere è diventato sempre più superfluo.
Oppure deve essere un qualche motivo legato a quegli esseri adepti del demonio chiamate donne, che mi orbitano intorno in quantità spropositate che non sto certo qua a raccontarvi che se no.
Beh non mi importa granché in realtà, però le vecchie abitudini, quasi sempre, son le migliori. Che poi ho scoperto che il destino che per me ha scritto il signorenostrogesùcristoonnipotente, è stato scritto da un bimbo di sei, e dico 6, anni e, vi dirò, si vede. Che poi ci ho pure la sensazione che sia riciclato.
Lascerò il mio angolo di autoreferenzialità con un pensiero: non credete a Babbo Natale, è un bugiardo.
piesse: a una certa, mentre scrivevo, son andato a cena perdendo ogni slancio e voglia, chi trova quel punto esatto gli offro una birra, piccola.
lunedì 13 settembre 2010
Sinistri
In questa meravigliosa fredda estate c'è il presidente della Camera che ha mostrato alla sinistra, quella finta e quella incapace, che per far cadere il nostro sempre giovane nonpremier, il nostro Presidente del Consiglio, non serviva far chissà quali manovre, non serviva spostare l'opinione pubblica tutta, non serviva quello che avevano fatto per anni.
Quello che serviva era semplicemente incominciare a fare quello che la terza carica dello stato non aveva fatto per 14 anni, il politico. Stupore e sorpresa tra le fila dei politicanti, il santo graal della politica italiana non era null'altro che la volontà di mettersi a discutere. Perché questo il buon Silvio non lo può mica tollerare, non lo può reggere, non ha potuto reggerlo, ne è rimasto ferito, sanguinante come ai tempi in cui piovevano duomi, senza parole.
E lì è cominciato il circo politicante italiano, oramai famoso in tutto il mondo per quanto nulla riesca a contenere. Da una parte la lega che ripeteva a rutti "elezioni subito" (che è molto più difficile di wyoming, da dire a rutti dico), dall'altra i giornali fininvest che si divertono a fare i magistrati, cosa che evidentemente gli riesce bene solo con accuse di omosessualità perché Fini è ancora lì, un po' più in là Renzo Bossi ma solo perché si era perso guardando il suo luminosissimo Ipad, là dov'erano rimasti c'erano ancora i dirigenti del piddì, noti fan della meccanica quantistica, han pensato bene di non farsi osservare, da lasciarci per lo meno il dubbio. Non ha funzionato, per esempio non ho più dubbi sulla loro inettitudine.
Che poi uno ci prova anche a dar loro fiducia, poi arriva uno schifani qualunque fischiato a un dibattito e loro? Esprimono solidarietà. Ma porca alla merda, una quindicina di persone lo fischiano e voi fate ammenda? Di che? Siete arrivati anche voi a considerare il dissenso squadrismo? Poi, voglio dire, Schifani, una persona che dovrebbe passar le giornate a chiedere scusa e a ringraziare l'onnipotente.
Che in realtà il vero motivo per cui ho scritto proprio oggi è che ieri era giornata di grandi comizi. Ho avuto il piacere di vedere quello della nostra quarta carica dello stato. I primi 15 minuti erano una proiezione del suo ego sotto forma di machismo, battute neanche tutte scadenti, certo quell'episodio di pissing in faccia al ministro Meloni è stato un po' troppo d'avanguardia però in fondo il pubblico lo bisogna educare, alle innovazioni. Il buon nonpremier si è fatto fare qualche domanda dai giovani ex finiani, quasi a sottolineare che, nella separazione, i figli se lì è tenuti lui. Se ognuno di noi fosse sincero ed onesto ammetterebbe che non una delle parole che ha proferito in tale sede abbia un peso politico superiore a quello dell'anima di Schifani, ma il fatto sconcertante è che un discorso che è durato una buona manciata di quarti d'ora ad un orario in cui magari la gente non guardano il tg la7 è finito sui giornali, tutti i giornali, solo, e lo dico con lo sconforto e la voglia di emigrare nel cuore, per quella frase sul milan e gli arbitri di sinistra. Ora, nello stesso discorso ha tralasciato ogni riferimento alla scuola oramai in ginocchio, come previsto, ha consigliato ai giovani di andare all'estero per lavorare, dichiarando così la morte del paese che lui, in un modo o nell'altro, governa da 16 anni e voi di che parlate? No certo, meglio concentrarci sul calcio. Con la morte nel cuore esco di casa dopo che i giornali ed il social netuorc mi avevan confermato che di quel lungo discorso era passata solo una battuta, tra l'altro simpatica, autoironica e non tutto quello che concerne la morte del paese ecc ecc. Mi sono detto, la gente non si fa mica distrarre così, non sta volta. E invece no, massì parliamo di calcio che il volgo è contento.
Per fortuna che c'è Stracquadanio che pensa a ricordare alla gente che se governano i puttanieri non ci si deve soprendere che siamo tutti delle puttane.
mercoledì 23 giugno 2010
L'inesorabile affiorare di ricordi senza motivo
Mio padre in 22 anni mi ha palesato una qualunque sua inclinazione politica solo quando una volta urlò addosso al vicino leghista quanto fosse totalmente privo di logica e fondamento il suo pensiero secessionista. Se no nulla, sempre molto attento a non influenzarmi mai. Per esempio ho fatto il catechismo anche se non l'ho mai visto avvicinarsi a una chiesa in vita mia. A ben pensarci poteva trovare metodi più folkloristici per spingermi verso il consumo occasionale di droghe.
Ho passato l'intera infanzia a ignorare una qualunque opinione di mio padre in campo politico, se si vedeva il Tg3, poco dopo cominciava il Tg5. E si guardavano nello stesso modo. Prendeva Repubblica, è vero, ma non così spesso da annoverarlo tra i lettori di Repubblica. Con l'avanzare degli anni ho elaborato che era stata una sua scelta di lasciarmi libero di credere in quello che volevo o una sua qualche difficoltà nel sbilanciarsi con me.
Mio padre guardò il poster, rosso e nero, dallo sguardo sognante (il poster dico, lo sguardo di mio padre io mica lo vedevo), con lo sguardo che dice ancora "Hasta Siempre comandante".
Quel modo di crescermi era probabilmente il vecchio imprinting ideologico, quello che contano sono gli ideali di ugaglianza, di rispetto, di raziocinio. Cose che sono nate in me, a mio modo di vedere, in maniera del tutto spontanea, nonostante il catechismo.
Mio padre aspettò un attimo prima di dire "quello? quello è un eroe".
Una cinquenne una frase del genere non la sente neanche, infatti credo che me l'abbia chiesto nuovamente qualche tempo dopo, però in quella frase, molto casuale, così fine a se stessa, così dettata dalla ormai familiare volontà di troncare il discorso, quella frase col tempo mi è rimasta. Perché è così squisitamente ideologica, così noncurante dei morti provocati dal vecchio Ernesto, così preberlusconiana, da raccogliere in se stessa una qualche poetica, da avere la forza di 22 anni di silenzio.
Perché nel 94 nacque il primo partito post-ideologico, iniziò a morire la politica, fino a quando non nacque il secondo primo partito post-ideologico, pieno di ex-democristiani, ex-socialisti ed ex-comunisti, che ha decretato ufficialmente che governare uno Stato, o meglio per convincere la gente a farti governare, non serve avere ideali, neanche quelli prima citati. Lentamente pare ci si dimentichi anche che servirebbe per lo meno avere idee, ma pare che di questi tempi è chiedere troppo.
Quasi servisse la presenza di qualche eroe.
sabato 12 giugno 2010
Sottotono
La cosa straordinariamente straordinaria è l'assoluta (nel senso di valore assoluto) tendenza a dipingersi come dei moderni Bukowski. E quindi ho passato una giornata che in qualche modo voleva onorare la memoria del compianto scrittore.
All'alba mi son riaddormentato, perché ho deciso troppo tardi di passare una giornata che in qualche modo voleva onorare la memoria del compianto scrittore e quindi quando mi son svegliato ho pensato di finire quel dozzinale intruglio chiamato dal mondo tequila e sono tornato a dormire. Prima di svegliarmi di soprassalto mentre sguazzavo nel mio vomito, perché voglio vederlo io, il compianto scrittore, a bere alle 7 di mattina mezzo litro di tequila e non vomitarsi addosso. Se non altro per vedere se la cosa gli piace.
Poi non ho fatto assolutamente nulla, ma l'ho fatto molto trasgressivamente. Pensando al sesso, alla droga, alla merda. Una giornata bellissima o, come la chiamo solitamente, una serie di pensieri da fare mentre si aspetta il treno. Che poi se lo racconti sei o un pervertito o uno che imita Bukowski. No no, sei un pervertito. Mentre se, come tutti gli altri, te lo tieni per te, sei una persona rispettabilissima e autorizzatissima ad indignarsi se, per esempio, infrango occasionalmente il mio voto di non parlare con gli sconosciuti e cerco di intavolare un dibattito sulla corrispondenza tra esperienze quotidiane e consistenza delle proprie feci.
Per finire ho anche preso la tubercolosi, tanto per passare una giornata che in qualche modo voleva onorare la memoria del compianto scrittore, ma poi ho bevuto latte e cognac, ho dormito e sono guarito, come sempre (questa è vera).
E dunque oggi mi ero riproposto di parlare del gay pride a Milano, ma non ci sono andato perché dovevo studiare della sana fisica. Quindi non avevo più nulla da dire, come quasi sempre tra l'altro, eqquindi ho cercato di rendere interessante all'uomo della strada la mia giornata.
Non ci sono riuscito, quindi ho pensato di parlare di questa cosa. Adoro i metapost.
Vi lascerò con un grande messaggio antiomofobo: mai picchiare un gay, potrebbe darvele. Almeno a me le darebbe, ma sarebbe un po' stronzo, ho anche la tubercolosi.
lunedì 31 maggio 2010
Viaggi da disadattato
Lunedì ventoso, in quel della Milano più rossa e spigolosa, quella che un tempo era la punta di diamante dell'industria milanese e ora è la punta di diamante della Pirelli. E' un po' il tempo che meglio mi si addice, quello della Milano più rossa e spigolosa di oggi. Se non altro perché mi toglie dall'imbarazzo di trovare un incipit che non crei alcuna spettativa su quanto potrebbe mai seguire.
Capita, alle volte, che mentre il treno si avvicina, lemme lemme, fischiando un sidiesis il cui fastidio è solo parzialmente attutito dalla musica, altissima, nelle orecchie, mi si scarichi il vetusto lettore mp3, che nella vita sa fare solo il lettore mp3, perché per me le cose devono saper fare quello che devono fare, quindi il lettore mp3 legge gli mp3, la macchina fotografica fotografa e il cellulare, unica eccezione, telefona e fa da sveglia. Ecco quando capita, che si scarichi il vetusto lettore mp3 dico, mi trovo nell'imbarazzante situazione del viaggiatore, nel suo piccolo inferno chiamato vagone in cui non viaggerebbero neanche Paolo e Francesca perché ne hanno passate abbastanza, che è costretto ad ascoltare i discorsi altrui.
Il fastidio di ascoltare discorsi quasi sempre di assoluta irrilevanza e spesso di un'ignoranza non solo marcata, ma anche sbandierata così, senza pudore, è quasi completamente compensato dalla possibilità che mi da di fare lo snob oltre ogni limite, fino a risultare sufficientemente odioso al lettore che si mette quasi istantaneamente alla ricerca di errori di sintassi o di battitura, giusto per trovar un sano e solido motivo di insultarmi. Ebbene, caro lettore che entri di gran carriera nella categoria snob, entro fine pagina ne troverai almeno 15, di errori dico.
A questo punto viene da chiedersi dove io voglia, con questo fiume di parole che si tormentano l'un l'altra come una nave israeliana contro una nave non governativa, andare a parare. No, l'obiettivo non è creare la proposizione incidentale che unisca prolissità e pochezza di significato.
E' che, nel mio furibondo tentativo di rimanere lontano dall'ascella del bisonte brianzolo incravattato che stava illogicamente vicino a me, ho notato, perché ogni tanto mi capita di notare qualcosa mentre mi sposto da un punto A ad un punto B, che sostanzialmente quando ero più un fringuello di questa società la gente interagivano di più tra di loro. Ora che son l'equivalente societario di un piccione, quindi dopo la grande e capillare rivoluzione tecnologica, la gente o la conosci o ti fa schifo (beh calma, non mi azzarderei mai ad imporre un così secco aut aut). Il che è ironico se si pensa che la grande e capillare rivoluzione tecnologica è in concomitanza con l'affermarsi su ogni livello del modello globalizzatore, creato appositamente per ridurre le distanze tra persone.
Non vorrei ora sembrare più semplicistico di un'analisi politica dell'onorevole Gasparri però, in quei 13, sudati, calorosi e vagamente erotici minuti di treno, l'ironia andava rapidamente risolvendosi nel momento in cui ci si ragiona un attimo su. Ormai si hanno così tanti modi di comunicare, tenere contatti, avvicinarsi, conoscersi senza vedersi con le persone che alla fine ci siam avvicinati troppo. E, diciamo la verità, la gente fanno schifo (escluse le splendide persone ricche di gusto e cultura che son giunti fino a questo punto, ovviamente).
E, gnente, vedete voi.
domenica 30 maggio 2010
Ricordo, stragi di mafia, vecchie canzoni e libri di storia
Una volta ero alle elementari, in quel caldo pomeriggio d'ottobre noi si era in giardino a fare quello che la società impone di fare a degli ottenni o poco più: partita di calcio. La ricreazione si doveva svolgere sempre così: 4 giacche per terra a delimitare una porta dai pali spropositamente larghi che ribattevano il pallone sempre nello stesso modo, sfidando ogni legge sulla conservazione del momento. Me li ricordo bene, quegli intervalli post pranzo che ti procuravano quelle strisciate d'erba in corrispondenza delle ginocchia sui jeans, che ogni tanto ti procuravano qualche livido, qualche labbro gonfio per una parola detta fuori posto.
E mi ricordo anche che una volta la maestra Concetta, perché è così che si chiamava quella che ci insegnava a leggere e scrivere ma non a far di conto, ci stava richiamando segnalando l'inesorabile fine del ludico momento e ricordo anche che cominciai a correre, in direzione della porta. Non era una decisione tattica delle più ardite per uno che era scarso quindi faceva il difensore, bensì la porta, con le sue due giacche, era tra me e l'ingresso della scuola dai tratti archittettonici così marcatamente fascisti.
Strano come qualche ricordo sia estremamente nitido, per me che poi non dimentico nulla. Per esempio mi ricordo quella notte del 27 luglio 1993, o meglio mi ricordo la mattina seguente quando mia nonna, perché era a casa sua che mi trovavo, mi disse: "è scoppiata una bomba vicino a casa tua". Una bomba che uccise tre vigili del fuoco, la cui caserma era proprio lì vicino, accanto alla mia scuola materna. Tre vigili del fuoco che una volta mi fecero salire su uno dei loro mezzi, mi mostrarono come il loro pastore tedesco riuscisse con facilità ad aprire il portone della caserma. Anche quel cane era sul posto quella notte, così mi dissero poi degli altri vigili, ma lui si salvò. Insieme a loro morirono anche un vigile urbano, anche lui giunto sul posto, e un, cito il tg5 della sera successiva, "vagabondo, un immigrato irregolare" che dormiva su una panchina.
Mi ricordo che quel caldo pomeriggio d'ottobre mi dirigevo di corsa verso l'ingresso della scuola dai tratti archittettonici così marcatamente fascisti e vidi a terra il cappotto blu del mio compagno di classe Antonio, promosso a palo destro della porta, il cappotto, non il mio compagno Antonio, anche perché era decisamente troppo robusto per essere un palo.
Ricordo anche che in quella calda estate del '93 ci furono altre bombe, me le ricordo bene, oltre a quella vicino a casa mia, che ora viene ricordata come la strage di via Palestro. Mi ricordo che la parola mafia usciva spesso, molto più spesso di quanto non si fosse fatto nei mesi precedenti, essì che l'eco delle esplosioni in cui son morti quei due giudici si sarebbe dovuto ancora sentire. Come se lontano dalle stragi la memoria della gente si intorpidisse. E si intorpidiva in fretta perché pochi mesi prima avevano provato ad uccidere Maurizio Costanzo, credo perché reo di aver invitato Rita Dalla Chiesa, figlia di una delle figure antimafia più rilevanti della mai studiata storia Italiana.
Mentre correvo verso quel cappotto lungo, di quelli che per un certo periodo della mia vita mi son rifiutato di mettere, prima di pensare che con un cappotto lungo, se mi mettevo a correre, avrei dato l'impressione a tutti di avere un mantello. Oppure di essere un investigatore di quei film anni 80/90, in cui poi alla lunga si metteva a piovere, enfatizzando in maniera marcata il suo abbandonare la donna che l'amava per dedicarsi al rischio del lavoro, da vero uomo vissuto mezzo secolo fa. E ricordo che pensai, per 5 metri buoni, lo salto o lo calpesto?
Ricordo che ai tempi i giornali, alcuni giornali, si interrogarono, molto brevemente, giusto il tempo di far dimenticare la cosa alla gente, se fosse davvero solo opera di Cosa Nostra, che solo qualche anno dopo capii essere solo un altro modo di dire mafia. Strano come frasi pensate 16/17 anni fa siano ancora in qualche modo attuali. E' strano anche che saranno 10 anni che vado a concerti in cui in un certo momento chi è sul palco dice "questa canzone è stata scritta N (con N intero positivo maggiore di 10, spesso tendente al 20, a volte al 40) anni fa e sembra scritta l'altro ieri". E' strano perché c'è sempre qualcuno che si stupisce di come, facendogli pensare un po' alle cose, qualche ricordo affiori dall'intorpidimento. E' anche strano che nessuno abbia ancora scritto una canzone su come, in 10 anni, le canzoni scritte 40 anni fa (che adesso sono 50) siano ancora attuali.
Antonio non mi aveva mai fatto nulla di male e in fin dei conti andavamo d'accordo, una rarità per il mio periodo elementare. Questo suppongo non stupisca nessuno che mi conosca da più di 10 minuti, se son così, diciamo, particolare ora, figuratevi in tenera età. Diciamo che nel piccolo inferno dei primi anni di istruzione, in cui cerchi di non prendere troppe botte (sapendo perfettamente che non verrà youtube a salvarti) quelli molto più grossi di te che non ti picchiano sono qualcosa di molto prezioso.
Non mi ha mai stupito molto come le canzoni e le notizie, ciclicamente, si assomiglino tra loro. In Italia, in quell'Italia che non si vede mai sui libri di scuola perché è molto più istruttivo farti studiare come delle scimmie si lanciassero la cacca vicendevolmente tra un graffito e l'altro, oppure quei 1000 anni di sostanziale nulla chiamato medioevo, non gli avvenimenti storici eh, ma ricordo capitoli interi dedicati a come seminassero nel feudo. Riprendendo le redini di quella incidentale durata troppo per proseguire la frase precedente, dicevo, è molto più istruttivo, evidentemente, sapere quelle robe lì, piuttosto che un qualunque evento avvenuto dopo il 1945. Quindi dicevo, in italia, in quell'italia che non studi mai, le cose non cambiano, mai, al più si vestono diversamente, fino a che non si dimenticano, fino a che non si ripresentano di nuovo.
Alle elementari son sempre stato buono con tutti, più per convenienza che per sincera bontà, tranne che col bullo della scuola, che una volta voleva picchiarmi e non chinai il capo. Questa cosa lo colpì positivamente, da quella volta prese le mie difese e non mi picchiò più. Per lo meno non in faccia. Mentre correvo verso il cappotto di Antonio, a un solo passo dallo stesso, cambiai idea. E lo calpestai, tutti videro che l'avevo fatto, anche Antonio. Era un gesto così, di gratuita offesa, che mi porto dentro come una piccola cicatrice, di cui ancora so dispiacermi.
C'è un mafioso pentito, un procuratore generale antimafia e un ex presidente del Consiglio ed ex presidente della Repubblica che sostengono che le tragi etichettate come mafiose di quegl'anni erano probabilmente un tentativo di golpe. Alcune accuse portano all'attuale presidente del Consiglio e ad alcuni suoi stretti collaboratori. Due soli giornali, ad oggi, hanno messo in evidenza la cosa.
Certe cose puoi dimenticarle, ma la puzza di marcio prima o poi si fa sentire, sta a noi non dimenticarle di nuovo.
Del cappotto di Antonio io non mi scorderò, è qualcosa che mi porto, come monito, sempre dietro.
Scusa Antonio, il tuo cognome non lo ricordo, ma io non mi scordo mai nulla.