venerdì 24 gennaio 2014

I miei sogni di libertà

La piccola lampada sul tavolo non bastava nemmeno ad illuminare i pochi oggetti che aveva, ma tanto bastava. La penombra è un abbraccio di brillante fascino. Fuori la città addormentata stava ignara come solo la fase REM ti può rendere. Era quella convinzione, di essere l'unico sveglio in tutta la città, che lo rendeva così pacifico.
Cercava sovente risposte sui fondi delle bottiglie, raramente vi trovava altro che un dolce intorpedimento dei sensi e una insensata tendenza ad accentuare le emozioni, sorrisi o lacrime che fossero. Saliva lentamente di gradazione, in maniera inesorabile trangugiava malti e luppoli di vario tipo e preparazione, lasciava l'immaginazione vagare e le sue pagine bianche riempirsi di quella storia che non si sarebbe mai compiuta.
Qualche volta era anche solito abbandonare le quattro claustrofobiche mura del suo appartamento appena arredato per uscire, in simil pigiama sfidando le sferzate del mattino non ancora nato, e osservare dal basso quella stessa città che, già con le prime luci dell'alba, si attiverà con le sue formiche operose. Piccoli puntini che osserverà con gli occhi a mezzasta e l'alito acido di chi ha bevuto troppo la sera prima, osserverà dall'alto, dietro il vetro che lo separa dalla vita degli altri.

Tutto quello che mi serve è una pagina bianca ed una storia da raccontare.

Così si diceva per giustificare il suo non voler prendere parte alla follia collettiva chiamata routine, quella che da sempre aveva alimentato lo slancio creativo, la corsa al collo della bottiglia e il lento spegnimento dell'amor proprio. Un susseguirsi di eventi sempre uguali a loro stessi, la frustrazione di non poter mai, malgrado ogni sforzo, cambiare le cose. Che fosse grazie alla sua creatività o con piccoli gesti quotidiani, il mucchio di formiche operose, il giorno dopo, si sarebbe comportato allo stesso modo.

Dunque osservava la vita da lontano, piccola e distante, si nutriva appena per sopravvivere, si attaccava al proprio intorpidimento ed immaginava. Volava col pensiero in situazioni reali ma supposte, dimostrando una chiara capacità di chiaroveggenza ad un occhio esterno. Occhio miope nel vedere che era fredda descrizione di un futuro già avvenuto.

Scriveva, sempre delle stesse cose, di tutte quelle possibili, scriveva di ciò che il tempo aveva sgretolato e di ciò che ancora per un po' avrebbe resistito.

Sorso.

Formicolio tra le sinapsi.

Era il momento di correre più veloce, di lasciare che la pagina si sporcasse, di non ostacolare la storia, identica a dieci pagine prima, diversa in tutto e per tutto. I personaggi del suo mondo supposto cercavano di venire a capo di un rompicapo truccato, lui onnipotente si sfogava giocondo nel rendere interessante la vita altrimenti patetica di ognuno di loro. Tesseva fili che tagliava con sadico potere.

Sorso, si sale sempre più in direzione di quella esplosione tanto voluta.

La storia da sempre supposta si era oramai delineata in un incessante battere di tasti, non restava che concludere, decidere cosa al lettore doveva rimanere di quella notte lunga giorni, ogni pedina era con sapienza stata mossa per toccare i tasti di una vita ormai lontana ma così ben dipinta.

Sarebbe stata gioia o crudele fallimento. L'amarezza o un sorriso.

In quel momento era finalmente padrone, in quel momento poteva smettere di bere, di cercare di offuscare la raggiunta lucidità.

Saltò nella libertà.
L'impatto fu notato la mattina dopo, dal giornalaio, la prima di tutte le formiche del giorno.

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