venerdì 21 dicembre 2012

La vera storia non ancora scritta del Natale - Parte prima.

Le metropoli sono sempre in qualche modo calde, anche negli inverni più rigidi emanano afa. C'è chi direbbe che da un punto di vista più emotivo sono sempre fredde, asettiche, ma lui sapeva bene che quella era l'impressione di chi la città non la viveva, non la ascoltava. Stava magro e curvo sul banco di lavoro mentre la neve fuligginosa si affollava sui vetri impolverati. I vicini di pianerottolo oramai si erano rassegnati ad aver accanto tanto abbandono psicofisico e anche il consueto minacciarsi si era in qualche modo rarefatto sul calendario.

Sarà che, con la fine dell'anno che si avvicina, avranno altre preoccupazioni che la mia porta marcia. Pensò.

La porta era marcia da quella volta che la chiusura stagna del palazzo si era danneggiata, la nube tossica aveva graffiato in profondità ogni cosa e ci vollero mesi prima che quelli del Pronto Soccorso Bonifiche rendessero nuovamente respirabile l'aria sulle scale. Tutti gli altri 189 condomini avevano sistemato i danni in poche ore, ma lui non si poteva permettere la spesa ed il suo appartamento si presentava come le dimore dei cattivi dei cartoni, con l'erba bruciata intorno, i fiori appassiti, il legno esausto. Non ha mai capito come avesse fatto il metallo della sua porta a marcire, ma è così che dicevano i vicini
infastiditi. Non aveva certo tempo di preoccuparsi del decoro di un pianerottolo che non vedevano altri che gli abitanti dei condominio: non ci si faceva visita nemmeno per le feste, la nuvola aveva inglobato anche quelle.

Lavorava ogni notte, dacché rientrava a casa quando il sole sarebbe dovuto sorgere. Il sole se lo ricordava bene, era uno dei pochi ricordi conservati gelosamente, il ricordo dei tempi in cui il suo corpo era grasso e forte, in cui quel periodo in cui la sua azienda era leader nel settore, in cui viveva, in sostanza, dei doni della gente. È sempre stato convinto che il declino sia iniziato quando le persone hanno sentito meno la mancanza di quella sensazione che da il sole sulla pelle, come la sensazione di sentire l'aria fredda sulla pelle.

Il declino. Quando il mondo si ammalò e lui con esso, quando iniziò a svuotarsi di ogni cosa che rendeva le persone un popolo, consumandosi dentro colonne di fumo sempre più denso, sommerso da oggetti sempre più superflui. Una così scarsa cura per ciò che ci circondava che quando ci siamo accorti del danno era oramai troppo tardi. Ora il suo corpo era stato consumato dagli anni e da qualche incidente. I sistemi di sicurezza si erano fatti più aggressivi per tener lontani gli affamati ancor prima che gli sciacalli e di certo la corporatura più minuta era consigliabile, però in realtà era un affanno residuo della riabilitazione per quell'incidente con la slitta di qualche anno fa. Doveva immaginarlo che le renne non sarebbero sopravvissute all'aria aperta.

Quell'incidente aveva condizionato tutto quello che è seguito, la sua schiena non è più stata dritta come un tempo, fare i fiocchi ai pacchi regalo era ormai un'impresa con 3 dita in meno e anche semplicemente costruire i desideri della gente era diventato difficile come se questi desideri fossero spariti per sempre. Senza contare che con le renne tutte morte e la slitta distrutta doveva lavorare tutto l'anno per permettersi il carburante che usava tutto in una notte. Lavorare era dura, vecchio e fragile com'era diventato raramente lo assumevano e tutti i mestieri che sapeva fare con perizia dopo migliaia di anni di pratica e perfezionamento venivano oramai svolti da macchinari scintillanti. Senza contare che non dormiva più e nessuno assumeva un dipendente con delle occhiaie fin sotto le narici, perennemente stanco per il lavoro certosino al chiaro di una vecchia lampadina a basso consumo energetico.

Era già mattino, chiuse gli occhi per immaginarsi un'alba, la neve fuligginosa si affollava ancora sulla finestra sempre più piccola, accantonò i cavetti e le varie cianfrusaglie, smise di fare i regali e si travestì da disoccupato. Indossava le mentite spoglie di una persona in ordine, la barba incolta non aiutava ma il rasoio l'avevano rubato i dipendenti del Pronto Soccorso Bonifiche e non ha mai avuto i soldi per ricomprarlo, ogni centesimo serviva per bruciare carburante e fare quello che doveva fare da migliaia di anni. Il cappio lo stringeva bene intorno al collo, così che la testa stesse dritta. Non era una cravatta, era un guinzaglio. Altre 18 ore a strisciare per quattro soldi, poi si tornava ai regali, operoso come i collaboratori morti di fame che non aveva mai pagato.


Qui la seconda parte

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